Vita e satira di Fortebraccio

Sabato 27 giugno 2009, alle ore 10 , a S. Giorgio di Piano, piazza Indipendenza 1, presentazione del libro
Fortebraccio. Vita e satira di Mario Melloni a cura di Pasquale Di Bello e Paola Furlan (Ed. Diabasis)
Dopo il saluto del sindaco Valerio Gualandi, presentazione di Fabio Govoni, interventi di: Emanuele Macaluso e Marisa Rodano. Presenti  i curatori del volume e Mauro Roda, presidente della Fondazione Duemila
In occasione del ventennale della scomparsa del giornalista, noto con lo pseudonimo di Fortebraccio, inaugurata una scultura a lui dedicata.
Mario Melloni (nato a San Giorgio di Piano, 25 novembre 1902  e morto a Milano, 29 giugno 1989) E’ stato un giornalista e politico italiano.
Inizialmente di professione calzolaio, fu antifascista e durante la dittatura mussoliniana visse per molte tempo in esilio a Parigi. Durante la Seconda guerra mondiale prese parte alla Resistenza partigiana e nel 1945 si iscrisse alla Democrazia Cristiana. Laureato in giurisprudenza, fu giornalista e dal 1946 al 1951 direttore del quotidiano Il
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Rileggendo “Le parole della memoria” di Giovanni Sola. Testo di Galileo Dallolio

E’ un piacere e una fortuna avere a disposizione
Le parole della memoria. Vocabolario, locuzioni e proverbi del dialetto finalese
di Giovanni Sola per la rivista finalese “La Fuglàra”.
Un piacere perchè la sua consultazione
permette di avere a disposizione rievocazioni di atmosfere e di
persone di molti decenni fa. Una fortuna perchè se non fosse stata
per la sua pazienza, dedizione e competenza , questo patrimonio non
ci sarebbe stato.
Dice bene il professor Lepschy nella presentazione:
Un ultimo motivo per cui lavori
come questo sono benvenuti, riguarda il loro valore civile. Ci
aiutano a non dimenticare il nostro passato, e a non lasciare morire
la cultura che si manifesta nei nostri idiomi locali, e la cui
ricchezza umana e sociale non è certo inferiore a quella legata alla
lingua nazionale che è venuta gradualmente a sostituirsi, invece che
ad affiancarsi ad essi come avrebbero voluto alcuni fra gli
intellettuali progressisti nel periodo postunitario, primo fra tutti
il fondatore della dialettologia italiana scientifica, G.I.Ascoli.

Con Giovanni ci si vedeva “sota Nadal , par Pasqua , pri Mort”
e la conversazione entrava subito
sul dialetto e sulle sue ricerche più recenti.
Ricordo una volta che si parlava sulla
possibile origine dell’espressione ‘l’è ad fata..’ e
sulle ragioni della rapida intesa che questa formula permetteva ‘mo
l’è ad fata..’. Interessante la ragione per l’ immediato
accordo tra parlanti ‘quand’ un l’è ad fata, a gh’è poc
da far..’.Si poteva essere corpulenti, magri, grassi …ma
essar ad fata , cioè avere certe ‘fattezze’, chiudeva
ogni altro discorso.
Per ricordare Giovanni, propongo
integrazioni e commenti ad alcune parole del suo vocabolario
attraverso citazioni a libri che parlano di dialetti e di parole, e
aggiungo un paio di ricordi.


Nella serata di presentazione delle
‘Parole della memoria’ un finalese, emigrato in Sud
America molti decenni prima , fece una domanda in un italiano
affaticato, poi scusandosi, chiese di potere parlare in dialetto e
la platea si emozionò per la perfezione della pronuncia.
Ricordo poi una telefonata con il prof.
Giulio Lepschy, autore della presentazione del libro. Suo padre,
dirigente a Venezia della Olivetti , azienda nella quale ho lavorato
per 31 anni , mi dette il suo numero di telefono.
Era estate , nella conversazione venne
fuori il tema del caldo. Rimasi colpito dai ricordi molto vivi
sulle parole del dialetto caldana, stòfag e sbuiúzz. Mi
disse che essendo sua madre, Sara Castelfranchi , finalese, lui
aveva trascorse diverse estati a Finale presso i parenti e che
ricordava con simpatia i ‘gir dal cundut’ con suo fratello
Antonio. Oggi è docente a Cambridge ed è uno dei massimi studiosi
di linguistica e di dialettologia.
NB – Segue la prima parte della raccolta
di vocaboli e modi di dire in dialetto finalese
Albi
1-abbeveratoio della stalla, 2- trogolo nel quale si versa la brodaglia per il maiale,
G.Sola)
Da “alveus”cavità in forma di ventre oblunga,
recipiente in forma di tinozza, catinella in forma allungata, letto
di un fiume’
. L’albi di Secatoi, l’indimenticabile ca’
ad campagna
, dove abitavano i Cursón,
Sandro, Cleante e i
me’ cusin
Tiglio, Cesarino e Lina, una volta riempita d’acqua, con una
pompa da lungo manico spinta
avanti e
indrè
, arrivavano lentamente il besti,
mucche che si chiamavano Mosca , Bianchina e altri nomi che ora non
ricordo.

Argiulì   (ristabilito, ringalluzzito G.Sola)
‘A l’ho vist tut argiulì. A sved c’al starÃ
ben
.’ Dietro a questa espressione a volte pareva di cogliere una nota di lieve
disappunto. Poter dire ‘
mo at sintù..a par che a csia gnù un tarabacìn..!’era
tutta un’altra cosa. C’era animazione, sorpresa e una sottintesa
considerazione mai dichiarata (‘
mei a lùche a mì’).
Quando ‘cal tal’ riappariva‘giulivo’, chi si
apprestava a commentarne la decadenza, si doveva ricredere.
‘Mo
a l’ho vist tut argiulì, as ved c’al n’era brisa mis maladal
tutt.Mei acsì.
.. (argiulì
potrebbe derivare dall’espressione ‘t
ornare giulivo’)

Arlià (1-irato, arrabiato, 2-
innervosito,
G.Sola) a) sfortuna, disdetta; b)
ripicco, dispetto; bonaria provocazione. –
Avèr
‘gh adré l’arlìa:
esser perseguitato dalla
sfortuna. –
Andär d’arlìa:
andar di ripicco, sfidarsi.  (Chiara Ricchi, Bruno
Ricchi Dizionario Palaganese-Italiano, Italiano-Palaganese)

Arloi  ‘Un orloio da solle Leggi Tutto

La Duchessa di Galliera, benefattrice, tra Italia e Francia

LA DUCHESSA DI GALLIERA Maria
Brignole Sale De Ferrari
. Biografia di Franco Ardizzoni
Discendente di una delle più
prestigiose famiglie genovesi Maria Brignole Sale nacque a Genova il
5 aprile 1811, in Palazzo Rosso, proprietà della sua famiglia. Il
doppio cognome è dovuto al suo antenato e Doge Gian Francesco
Brignole (1695-1760) che sposando l’unica figlia di Giulio Sale,
marchese di Groppoli (Lunigiana, provincia La Spezia) aggiunse al suo
cognome quello di Sale. La famiglia Brignole Sale vanta , fra i suoi
antenati, ben quattro Dogi di Genova.
All’età di diciassette anni andò
sposa al marchese Raffaele de Ferrari, uomo d’affari ricchissimo,
banchiere abile ed accorto finanziere. Assieme al marito formò la
coppia più benefica del secolo in Europa.
Nel 1837, dopo un trattativa durata
dieci anni, il marchese de Ferrari acquistò dalla corona di Svezia
le terre, ed il relativo titolo, del Ducato di Galliera (creato da
Napoleone Bonaparte nel 1812 e donato a Giuseppina Eugenia
Beauharnais,
futura sposa del re di Svezia). Il 18 settembre 1838 il
De Ferrari ottenne, da papa Gregorio XVI, il ripristino del Ducato di
Galliera col relativo titolo, riconosciuto da Carlo Alberto di Savoia
il 18 luglio 1839.
Da quel momento il nome di Galliera
iniziò
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Il sublimato di mercurio e il primo processo per inquinamento atmosferico, a Finale, nel 1689. Galileo Dallolio

1Il trionfo del mercurio :
una vicenda che ha riguardato anche
Finale

Partendo
dall’evento che ha dato a Finale il singolare primato di essere il
luogo dove, per la prima volta in Italia, si sia fatto, nel 1689, un
processo per inquinamento atmosferico dovuto alla produzione di
solimato di mercurio,
credo sia utile farsi un’idea di un
prodotto che ha avuto una larga diffusione nella pratica medica e
cheè¨ ancora citato nei prontuari e nei repertori dei termini medici
del 1960. (1)
Ricordo
che il processo si è concluso con l’assoluzione dei produttori ,
ma ha messo in moto una serie di eventi che meritano di essere
studiati. Mi riferisco all’amicizia fra Ramazzini e Leibniz ,
coinvolti entrambi nel processo per un atto di cortesia, e al
contributo di Leibniz alla fortuna europea del De morbis
artificumâ Il libro sancisce la nascita della medicina del lavoro
con ben 60 schede di malattie collegate a diversi mestieri
e
Francesco Giampietri
, nel suo saggio l’erudito di Hannover e il
medico dei villani. Leibniz, Ramazzini e la nascita della medicina
sociale
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Porta Capuana, edilizia “popolare”. Angela Abbati

Il Castello di S. Giorgio fu riedificato alla fine del XIV secolo su di un preesistente impianto di antica origine, ma le parti in muratura furono completate dopo il 1403 (?) con l’arrivo a Bologna del nuovo Legato Pontificio Baldassarre Cossa.
Le sole parti ricostruite del Castello, il quale non era circondato da mura, ma da palizzate, da terrapieni e da larghe fosse, erano le due porte munite, l’una verso Bologna e l’altra verso Ferrara. Rimane ancora quella che volge a settentrione e Ferrara[1]              
In queste immagini della fine dell’800, inizi 900, la Porta Ferrara (o Capuana) appare come era prima del restauro eseguito nel 1913 ed è abitata. La merlatura (che nel suo aspetto originario doveva essere scoperta) risulta tamponata con mattoni a vista, mentre erano state create delle piccole aperture per le finestre. Anche l’arco centrale, prospiciente l’interno del paese, era chiuso da una grande meridiana incastonata, di origine forse settecentesca .La presenza dei camini lascia inoltre supporre che al piano superiore vi fossero delle stufe o caminetti che consentivano di poter riscaldare l’ambiente. Tutto ciò garantiva un certo grado di abitabilità  all’edificio.

Ma chi erano gli abitanti di Porta Capuana?

Una leggenda popolare narra che nell’Ottocento un carrettiere di San Pietro in Casale si era innamorato della figlia del carceriere di San Giorgio, ma il padre della ragazza (a causa dell’antica rivaltà  tra i due paesi contigui) non vedeva di buon occhio l’unione. Allora il giovane escogitò uno stratagemma per poter vedere l’amata: aggredì un carabiniere per poter essere arrestato e finire in carcere, che si trovava allora proprio. all’interno della Porta Capuana.

Al di là  della veridicità  di quanto racconta la leggenda ottocentesca riguardo la presenza di un carcere  (o per lo meno di una guardina)  dentro la porta Ferrara, è comunque assai probabile che circa un secolo fa la porta assolvesse una funzione di tipo abitativo. Lo attestano le foto dell’inizio del ˜900.                 

 
Dal confronto tra le fotografie precedenti e quelle immediatamente dopo il restauro del monumento,condotto nel 1913[2], si possono rilevare i principali obiettivi di quell’intervento.Oltre al consolidamento del fabbricato e all’eliminazione degli evidenti guasti, il restauratore di allora si proponeva come finalità  prioritaria di rimuovere i tamponamenti presenti in facciata, resi necessari dall’uso residenziale a cui era stato adibito l’edificio in favore delle persone indigenti.

La rimozione del tamponamento che accecava l’arco posto verso la piazza principale, aveva comportato la distruzione dei resti di quella bella meridiana dipinta rappresentata nelle antiche fotografie.

Recentemente l’amministrazione comunale di San Giorgio di Piano ha approvato un progetto di sistemazione della Porta Ferrara, redatto dall’Ufficio Tecnico Comunale.

Il progetto di restauro, elaborato dall’architetto Pier Franco Fagioli, si propone di valorizzare le caratteristiche storico-artistiche del monumento.

L’intervento di riqualificazione  della porta e delle strade adiacenti prevede, oltre al consolidamento strutturale, la valorizzazione estetica dell’edificio attraverso alcune opere, tra cui il ripristino della meridiana storica sul lato meridionale.

Rimossa in seguito al restauro del 1913, la sottile parete in foglio che delimitava l’arco, viene riproposta per andare in contro al desiderio di tanti cittadini di vederla ripristinata nella conformazione e nelle dimensioni di un tempo.

La nuova meridiana si propone con caratteristiche assolutamente moderne, per leggerezza e facilità  di sostituzione: utilizzerà  nuovi materiali e sarà  disegnata su vetro color bianco.

Questa soluzione risponderà  contemporaneamente a due esigenze: l’illuminazione  diurna e notturna. La luce solare filtrerà  di giorno, per rendere agibile il primo piano della Porta.

L’illuminazione interna di sera renderà  visibile  Porta Ferrara anche da notevole distanza, permettendo al monumento stesso di essere meglio valorizzato e di fare da sfondo scenografico a via della Libertà .

Angela Abbati
 
Note
1] Da Lino Sighinolfi: Il Castello di San Giorgio di Piano, Tip. Neri, Bologna, 1914
[2] L. Sighinolfi, ibidem 

 

Cronaca del Convegno “L’acqua un bene da salvare”. 1a parte

Si è tenuto il 29 aprile in provincia di Bologna, presso il Museo della Civiltà Contadina di S. Marino di Bentivoglio, un incontro su questo importante tema, organizzato dal Gruppo Studi della Pianura del Reno in collaborazione con l’Istituzione Villa Smeraldi , con il patrocinio del Comune di Bentivoglio
La riunione si è svolta grazie all’intervento dei Comuni di Bologna e Bentivoglio, del Consorzio Chiusa di Casalecchio e dell’Emil Banca ed ha visto la partecipazione di espertiappartenenti ad Enti pubblici della Regione e della Provincia i quali, dopo i saluti della Presidente del Gruppo Magda Barbieri e del Presidente della Istituzione Valerio Gualandi, hanno dibattuto sulle problematiche legate all’utilizzo razionale della risorsa idrica. 

L’acqua, come ha ricordato in premessa il moderatore dott.Vincenzo Tugnoli (in foto) è un bene ritenuto essenziale non solo dalla liturgia ma per tutta la collettività per gli usi domestici e per i risvolti economici che rappresenta nei settori industria e agricoltura, oltre ai beneficisulla salute (eliminazione delle gastroenteriti); negli ultimi 40 anni il prelievo di acqua è raddoppiato, con un consumo oggi superiore alle disponibilità. E’ quindi un bene limitato da usare con solidarietà e razionalità; si rammentano i 5,5 miliardi di danni nel 2003 in Italia, per la carenza di piogge. Il problema dell’aumento delle temperature e di una diversa distribuzione pluviometrica è stato affrontato dall’ing Tiziano Draghetti della Regione Emilia R. ed ha evidenziato la necessità di ridurre le emissioni. Dopo l’intervento del Segretario della Chiusa di Casalecchio, dott. Fabio Marchi, sulla storia dei corsi d’acqua che attraversano Bologna, il Segretario dell’Autorità Bacino Reno, dott.Ferruccio Melloni, ha illustrato i programmi in essere e futuri.

L’ing. Marco Morselli, Direttore Agenzia ATO5 ha illustrato i progetti per il, settore civile ed i contenuti della legge 36/94, che affida a Regione e Province i ruoli di indirizzo e controllo attraverso ATO (Ambiti Territoriali Ottimali), mentre a Comuni e Consorzi la gestione. A questo riguardo l’utilizzo delle acque di superficie è stato dibattuto dal Direttore della Bonifica Renana, dott. Agostino Parigi, mentre il dott. Paolo Mannini, Direttore tecnico del Canale Emiliano Romagnolo, ha affrontato le metodiche per il risparmio idrico in agricoltura ed i progetti di fitodepurazione. L’ing. Giancarlo Leoni, Direttore reti di Hera, ha affrontato le problematiche delle perdite negli acquedotti e illustrato i programmi per il loro contenimento.

Vista la complessità degli argomenti trattati, gli organizzatori hanno ritenuto di aggiornare a lunedì 16 maggio, ore 21 le relazioni del dott. Giuseppe Bortone, esperto della Regione, sul Piano di Tutela delle acque, del dott. Gian Paolo Soverini Direttore Settore Ambiente della Provincia sulle linee di pianificazione provinciale e delle proposte in essere che verranno avanzate dall’ing. Walther Vignoli, del Gruppo Studi, dall’ing. Massimo  Pancaldi del Comitato acqua Bacino del Reno e dall’idrogeologo dott. Gianni Viel.

A conclusione di questa prima parte, l’Assessore Provinciale all’Agricoltura, dott.ssa Gabriella Montera, ha incentrato l’intervento sull’uso e consumo in agricoltura e sulle azioni dellaProvincia per salvaguardare una risorsa, compromessa dall’inquinamento, ma che richiede azioni efficaci ed unitarie in cui la cultura dello sviluppo sostenibile deve andare oltre le annunciazioni e diventare pratica attiva. Gli investimenti dovranno essere finalizzati prioritariamente alla conservazione, al risparmio, al riuso e uso corretto della risorsa idrica; il Piano Territoriale di Coordinamento Provinciale già contiene disposizioni per la tutela della risorsa superficiale e sotterranea. Gli obiettivi del Piano di tutela della Regione sono rivolti al riequilibrio fra prelievi e ricariche di falda, per ridurre inoltre il fenomeno della subsidenza. La riduzione del 50% delle somme messe a disposizione di Regione e Provincia impone un rinvio dei progetti, con difficoltà a portare a termine quelli già cantierabili; sarebbe invece opportuno prevedere nuovi meccanismi di finanziamento,anche con risorse proprie di Regioni e Province. L’Assessorato Provinciale Agricoltura intende dare attuazione ad iniziative quali: sostegno finanziario ai Consorzi di Bonifica per opere irrigue con acque di superficie (8 progetti per € 654 mila); co-finanziamento di opere irrigue concordate con Organizzazioni Agricole (€130 mila); divulgazione di tecniche irrigue efficienti (€10 mila);istituzione del Tavolo Tecnico con Associazioni, Servizio Difesa Suolo, Autorità di Bacino, Consorzi di Bonifica; messa in sicurezza del territorio con regimazione idraulico-agraria. Nella definizione del Piano Regionale di Sviluppo Rurale, la Provincia intende porre attenzione sull’innovazione tecnologica e sul tema della”ecocondizionalità“, cioè su pratiche agricole rispettose dell’ambiente per la tutela delle acque da inquinanti. La creazione dell’adduttore nord, che porta acqua dal CER di Bentivoglio fino al depuratore di Bologna e di quello che da Mordano_Bubano arriverà ad Imola, dovranno consentire ad industrie, artigiani ed agricoltori di usare acqua di superficie senza ricorrere più a falde. L’Assessore dott.ssa Montera ha concluso evidenziando che sarà sempre più urgente sensibilizzare il mondo produttivo ad un risparmio di questo bene, soprattutto in un momento in cui l’aumento dei costi diventa elemento dirimente rispetto alla capacità di competere sui mercati sempre più globalizzati.

A cura di Vincenzo Tugnoli

Alessandro Maccaferri. Un artista della pianura del Reno. Franco Ardizzoni

“Nato a
San Vincenzo di Galliera
il 21 luglio 1857, Alessandro Maccaferri fin dall’infanzia
dimostrò una particolare predisposizione per il disegno e
l’arte pittorica. Ammesso all’Accademia di Belle Arti di Bologna
divenne presto l’idolo dei suoi compagni.
A
quattordici anni vinse il premio assegnato per il periodo delle
vacanze. Il premio consisteva in un soggiorno di sei mesi a Firenze,
dove l’inestimabile patrimonio delle opere artistiche disseminate
per la città, nelle cattedrali, nei musei e nella pinacoteca
doveva affinare il senso d’arte dello studioso, innamorato
dell’arte.

Il
giovane Maccaferri vinse la borsa di studio a Firenze a soli 14 anni
con un lavoro di riproduzione di un particolare di uno dei più
famosi quadri pittorici esistenti nel mondo: la deposizione
del corpo di Cristo dalla Croce, opera dello spagnolo Esteban
Murillo.
Il lavoro
del Maccaferri riproduce la testa di una dolente che assiste alla
pietosa scena della deposizione.
Il quadro
venne donato dallo stesso Maccaferri, nell’anno della sua
esecuzione, cioè nel 1871, al Municipio di Galliera, dove è
ancora oggi conservato nell’ufficio del sindaco.

Per le
sue doti d’ingegno e di equilibrio ed il garbo e la discrezione dei
modi e delle parole fu il prediletto dei suoi Insegnanti-Artisti
dell’Accademia, fra i quali i celeberrimi professori Ferri e
Piccinelli
.

 

I suoi
primi guadagni li fece collaborando ad un’opera scientifica di
straordinario valore: “Sulla storia della Teratologia”
(Teratologia = Studio delle mostruosità animali e
vegetali) dell’illustre professore Cesare Taruffi,
ordinario di Patologia all’Università di Bologna. I disegni
e le illustrazioni che adornano a migliaia la colossale mole di
quest’opera, unica al mondo nel suo genere, sono di mano del
Maccaferri. Per parecchi anni, si può dire, visse in
dimestichezza col prof. Taruffi che fu
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Antonio Mosca (1870-1951). Pittore bolognese nato a Pieve di Cento .

Tra gli artisti che hanno lavorato con onore  nelle chiese e nelle case dei paesi della nostra pianura, vogliamo segnalarne uno, nato nella fertile terra  di Pieve di Cento, che fu sempre ricca di fermenti creativi in ogni campo culturale, artistico e artigianale: Antonio Angelo Mosca (1870-1951), pittore, decoratore a fresco, paesaggista, ritrattista, figurinista e infine collezionista, pur nell’ambito  ristretto delle sue possibilità economiche.
Fu artista completo della fine dell’800
e prima metà del ‘900.

La sua opera, per la maggior parte
ancora misconosciuta, si svolse nell’affrescare e decorare chiese del
Nord Italia (chiesa parrocchiale di Tuenno) come della provincia di
Bologna (chiesa parrocchiale di Castel d’Argile, nell’anno 1900 ,v. foto 2,  Chiesa
Arcipretale di Copparo – Ferrara) e del Centro Italia (in Umbria, non
meglio identificate).
Operò anche per privati
affrescando e decorando ville signorili nella provincia di Bologna
(Villa Sarti a Prada di Grizzana).
Antonio nacque a Pieve di Cento in casa
di proprietà Riguzzi, ad ore 10 pomeridiane, il 28 Maggio 1870 da Giovanni
Battista e da Maria Luigia Parmeggiani (1).
Era fratello gemello di Pietro con cui
ebbe sempre un forte legame affettivo tipico dei gemelli.

Insofferente degli stilemi accademici
(frequentò l’Accademia di Belle Arti di Bologna solo per un
anno e mezzo nel 1895-1896),  spirito originale e indipendente da
ogni suggestione socio-politica, figlio di contadini,  seppe affacciarsi
al mondo dell’arte con umiltà e tenacia affermandosi, quasi da
autodidatta, in un ambito prevalentemente provinciale ma ricco di
fermenti antiaccademici, cogliendo le novità d’oltralpe mediate
dai Macchiaioli fiorentini e tradotte in una visione rigorosamente
formale ma dalla partitura cromatica intensa ricca di suggestione e
di partecipazione umana. Amava immensamente la pittura del ‘600 in
un’epoca in cui la critica ufficiale la considerava obsoleta.

Amante della natura adottò lo
stile “plen air” per ritrarre la realtà circostante con una predilezione particolare per il
paesaggio e per i fiori.
Molti salotti di Bologna e provincia
sono adorni dei suoi quadri di paesaggi e composizioni floreali che
dipingeva con vivacità di colori e molta maestria (v. foto  successive).
Va detto che Antonio Mosca era molto
modesto e di indole schiva anche se cosciente del valore della
propria arte che non piegò mai alle mode e alle ideologie
imperanti nel secondo quarto del XX secolo. Non cercò mai e
non ebbe riconoscimenti ufficiali accontentandosi di svolgere la
propria attività con impegno, passione e coerenza fino all’etÃ
di 77 anni come testimonia una cartolina scritta nel 1947 al figlio
Ing. Arrigo  da Villa Sarti di Prada di Grizzana dove stava eseguendo
dei lavori (tra l’altro afferma che prima di iniziare un altro lavoro
farà un salto a trovarlo a Milano).

Antonio Mosca era un grande estimatore
di tutta la pittura del ‘600 in un epoca in cui era svilita dalla
critica ufficiale. Per tanto acquista un valore altamente simbolico
che le sue esequie si siano svolte all’ombra di un capolavoro di
Guido Reni nella chiesa bolognese di S.Domenico.

Il destino lo accontentò: il suo
funerale fu celebrato nella Chiesa di San Domenico nella piazza
omonima di Bologna e certamente allora godette il “Bello Eterno” in
compagnia del “divino” Guido Reni colà sepolto dove
sfavilla nel catino della cappella del Santo l’affresco “la
Glorificazione di S.Domenico
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C’era una balena fossile sull’Appennino bolognese

Domenica 11 maggio 2008 a Gorgognano  di Pianoro , alle ore 16 Inaugurazione della scultura dedicata alla Balena della Val di Zena L’iniziativa, curata dal G.A.L. BolognAppennino, prevede l’inaugurazione della scultura dedicata alla balena della Val di Zena, che sorge nel punto esatto dove, circa 2 milioni di anni fa durante il Pliocene, una balenottera si è spiaggiata. Nell’anno 1965 è stato ritrovato lo scheletro del Cetaceo fossile, il cui originale è esposto nel Museo di Geologia e Paleontologia Giovanni Capellini della Università di Bologna. Le dimensioni della scultura che verrà inaugurata sono quelle esatte della balena (circa 9 metri di lunghezza).
Introdurranno l’evento: Simonetta Saliera, sindaco di Pianoro, Tiberio Rabboni, assessore Regione E R  Andrea Marchi, Presidente Comunità Montana – Cinque valli bolognesi , Remo Rocca, Presidente Gal BolognAppennino, Giulio Ghetti, Fondazione Carisbo, Gianbattista Vai, Direttore Museo Capellini, Università di Bologna, Carlo Sarti, Dirigente-Curatore Museo Capellini, Università di Bologna – L’inaugurazione sarà inserita all’interno di un evento-spettacolo con letture da Melville (Moby Dick) e Capellini tenute dall’attore Umberto Bortolani, in una suggestiva ambientazione sonora appositamente approntata per l’occasione.
“Se a Bologna ci fosse il mare…..! Eppure c’era. Anzi, c’è! Circa 15 km a monte dell’attuale Via Emilia due milioni di anni fa o giù di lì arrivava il mare: una spiaggia tropicale era il panorama che si offriva agli occhi di chi oggi invece si perde davanti alla vista di colline e piccole valli fiorite. Siamo in Val di Zena, a neanche una ventina di chilometri da Bologna, in una delle zone archeologiche e paleontologiche più importanti di Italia.
Basta chiudere gli occhi e abbandonarsi per un po’ al racconto. Poi, riaprendoli, la balena sarà lì, in carne e ossa, davanti al pubblico: una balena lunga ben 9 metri, opera dei ragazzi dell’Accademia di Belle Arti di Bologna coordinati dallo scultore Davide Rivalta.
Nel corso della giornata, l’inaugurazione del monumento della Balena della Val di Zena sarà accompagnata da una ricostruzione fantastica dell’ambiente di due milioni di anni fa, testimoniato ancora da una ricca presenza di fossili in tutta la zona. Poi, da qui all’eternità la gigantesca balena-scultura (riproduce, infatti, le dimensioni reali di quella i cui resti sono ora al Museo Capellini) ricorderà per sempre ai turisti della Val di Zena che c’era un paesaggio tropicale popolato di balene e mastodonti là dove oggi si viene a funghi o per arrampicarsi sulle pendici collinari in sella a una bici….” (*)

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Tra strade e cavedagne di pianura le tracce dell’antica centuriazione. Roberto Frazzoli

Forse non tutti sanno che nell’intera pianura emiliano-romagnola sopravvivono numerosi spezzoni di strade campestri romane, oggi asfaltate e integrate nella rete viaria che percorriamo quotidianamente. E’ ciò che rimane della  centuriazione, la suddivisione della campagna in lotti quadrati (710×710 metri, nel bolognese) che gli antichi romani realizzarono oltre duemila anni fa. L’opera aveva lo scopo di costruire le infrastrutture necessarie per la coltivazione (fossi, canali di scolo, strade di accesso) e al tempo stesso di creare una lottizzazione ordinata per poter poi assegnare i fondi ai coloni. L’immensa scacchiera fu creata incrociando una serie di strade pressochè parallele alla via Emilia (dette decumani) con altre strade ad esse perpendicolari (dette cardini). Si calcola che nella sola pianura bolognese Roma abbia costruito oltre 2500 chilometri di strade campestri, rimuovendo venti milioni di metri cubi di terra per scavare i relativi fossi (1).
L’individuazione delle tracce della centuriazione presenta ovviamente molti motivi di interesse. Per quanto riguarda l’area di via Galliera (cioè i territori dei comuni di Argelato, Bentivoglio, Castel Maggiore, San Giorgio di Piano e San Pietro in Casale), un tentativo dilettantistico è stato compiuto nel 1998 dall’autore di questo articolo, semplicemente tracciando linee sulle cartine dell’Istituto Geografico Militare. La breve ricerca qui riassunta non ha alcuna pretesa di scientificità , ma le corrispondenze rilevate non sembrano essere semplici coincidenze.
STRADE DI PROBABILE ORIGINE ROMANA TUTTORA ESISTENTI
Il risultato più interessante, ovviamente, è rappresentato dall’individuazione di strade tuttora esistenti (o tratti di strada) che coincidono con cardini o con decumani. Qui di seguito le corrispondenze rilevate.
Via Saliceto, com’è noto, coincide con il “cardine massimo” della  centuriazione bolognese, cioè con il suo asse di riferimento. Se ne discosta solo in un primo tratto (da Bologna fino all’altezza della zona industriale di via Di Vittorio) e nei pressi della Trasversale di Pianura. Via Saliceto termina a Bentivoglio (il traffico prosegue su una strada che svolta verso est) ma il cardine massimo continua ad essere segnato verso nord dal canale Navile e dalla strada che scorre sull’argine (via Argine Navile).

Via di Mezzo di Santa Maria in Duno, la strada principale del paese, coincide con un cardine dalla sua estremità sud (ossia da via Ringhiera) fino a un punto situato nel comune di San Giorgio di Piano (non lontano da Cinquanta). Va segnalato che il tratto meridionale di questo cardine
si presenta oggi come una stretta strada privata, non più perfettamente rettilinea. E’ questo uno dei cardini meglio conservati di tutta la zona considerata, con una lunghezza di oltre 5,5 chilometri. Il suo prolungamento verso nord – oggi non più esistente – permette di spiegare la strana collocaazione di Cenacchio, una frazione di S. Pietro in Casale che attualmente sorge su una strada a fondo cieco. Sebbene non coincida con il cardine, quel troncone di strada punta infatti verso Santa Maria in Duno.  Appare ragionevole ipotizzare che quel collegamento si sia interrotto in epoca medievale per la formazione di paludi a nord di Bentivoglio.

Vicolo Cimitero a Santa Maria in Duno (che inizia alle spalle della chiesa e termina in campagna, verso ovest) coincide con un decumano. In questa zona sono stati rinve­nuti reperti di età romana, quasi in superficie (2).

 

Via Selvatico (che da via Centese, nei pressi di Argelato, raggiunge via Mascarino) coincide con un cardine per la maggior parte della sua lunghezza. Percorrendola in auto sembra tutt’altro che rettilinea, ma dalla cartina appare chiaro che le sue curve sono soltanto lievi oscillazioni intorno a un unico asse. Presumibilmente la strada prende il nome dal gruppo di case indicato come “il Selvatico” sulla cartina IGM. E’ comunque interessante notare che il nome di questa strada termina con la desinenza “-atico” generalmente associata ai nomi di fondi romani (Massumatico, Lorenzatico, ecc.).

– La strada privata che inizia a Santa Maria in Duno e si collegava un tempo a via Co­mastri (una traversa di via Galliera, di fronte al Mercatone Uno) coincide in parte con un decu­mano. Questa strada è stata distrutta quasi completamente a causa della costruzione dell’Interporto. Sul tratto coincidente con il decumano sorge l’edificio che Enrico Rizzo ha identificato come l’antica chiesa di S. Giovanni di S. Maria in Duno, ora convertito in abitazione privata (3).

– Una Leggi Tutto