Ma se non piove… sono guai

Articolo scritto 10 anni fa, ma sembra scritto oggi, perchè la situazione è la stessa.
“Allarme   per il Po.  A secco i bacini idrici della Romagna e la valle del Reno

da  “ Il Fatto Quotidiano” Emilia Romagna -|17 gennaio 2012
La scarsità  di piogge prosegue dopo
il “secco” autunno 2011. Coldiretti: “Nella
zona di Parma il livello del fiume è paragonabile al periodo
estivo”. Le tabelle e i bollettini di Arpa Emilia Romagna
confermano che a breve non si prevedono grosse precipitazioni.
‘L’Emilia Romagna e il Po rischiano
di rimanere a secco per l’allarme siccità  che è scattato dopo un
2011 con piogge ai minimi storici. E’ quanto emerge dall’analisi
Coldiretti, basata su dati Isac-Cnr, che ha classificato il 2011 al
terzo posto tra gli anni più caldi degli ultimi 2 secoli. Il
risultato più evidente – sottolinea la Coldiretti – è una magra
straordinaria nel fiume Po. Dopo la mancanza di
precipitazioni che ha caratterizzato l’autunno
Leggi Tutto

1914 – L’illuminazione pubblica a S.Giorgio di Piano passa dall’acetilene all’elettricità. Anna Fini

2014: CENTO ANNI DELLA
ILLUMINAZIONE ELETTRICA PUBBLICA A S. GIORGIO DI PIANO.
Ricerca
di Anna Fini
Esattamente 100 anni fa, nel
1
914, nel comune di San Giorgio di Piano si passava
dall’illuminazione pubblica a gas acetilene all’illuminazione
elettrica.
Ma come avvenne questo passaggio?
Nel lontano 1912 la SocietÃ
Elettrica di Bologna chiese d’iniziare le pratiche per
impiantare una rete di pubblica illuminazione elettrica a San
Giorgio. La Giunta, allora presieduta dal Sindaco
Gaetano Rossi, pensando che questo nuovo sistema fosse
più sicuro, più economico e più pratico rispetto al sistema sin a
quel momento utilizzato, affidò all’assessore Gaetano Tommasini
l’incarico di studiare l’argomento.
San Giorgio attraversava, in quegli
anni, uno “sviluppo dell’arte edilizia” con un aumento
delle dimensioni del paese che aveva reso l’impianto
d’illuminazione a gas acetilene insufficiente ed era quindi
indispensabile la sua estensione oppure la sua sostituzione con un
impianto a luce elettrica. Le due soluzioni vennero vagliate
dall’Amministrazione
Leggi Tutto

Giovanni Battista Gigli, musicista, detto il Tedeschino”, da Finale. Galileo Dallolio

Giovanni Battista Gigli, detto il ˜Tedeschino ” … da Finale. Ricerca di Galileo Dallolio
Invito il lettore a soffermarsi su questo volto. L’espressione, a mio parere, è di persona risoluta e sicura, orgogliosa del proprio talento. E’di un virtuoso di liuto nato a Finale Emilia nel 17° secolo (è in corso una ricerca sulla data), che faceva parte del gruppo ristretto di musicisti stipendiati dal Gran Principe Ferdinando 2° de’  Medici.
La sua immagine è presente in due quadri che erano nella Villa medicea di Pratolino, presso Firenze, e ora sono nella Galleria dell’Accademia
Di Gigli , lo storico finalese Umberto Baldoni nel suo Il maestro D.
Innocenzo Gigli, musicista di Finale Emilia nel XVIII secolo
, Bologna
1927  lo ricordava con queste parole  ˜Pro-zio gli fu quell’altro Giovanni Battista Gigli, celebre musicista finalese nel 1650, che fu ai servigi prima del G.Duca di Toscana e poi di quello
di Modena dal 1669 al 1689. Dal quale è certo ha ereditato il genio
musicale, se nessuno raggiunse nel suo tempo la fama, cui era salito
 preso il nostro protagonista. Ma è stato la ricerca in corso da parte del prof. Davide Rebuffa, noto
liutista e musicologo del Centro Studi Piemontese di Musica Antica
, che ha permesso di approfondire la conoscenza di questo nostro
concittadino . Davide Rebuffa è ‘ autore del primo libro sulla storia del liuto (L’Epos,
Palermo, 2012) che, unico per ampiezza divulgativa e dettaglio
documentario, si pone come saggio di riferimento internazionale per
la conoscenza e lo studio di tutti gli strumenti appartenenti alla
famiglia del liuto e delle loro trasformazioni organologiche.
(medioevale, rinascimentale e barocco) svolgendo attività di
ricerca, concertistica e didattica ed allestendo mostre di strumenti
antichi’.
Nella citazione presente sul “Grove Dictionary of Music and Musicians” cioè
la più completa ed accreditata fonte sulla musica occidentale
vediamo che GB Gigli ha un posto nella storia della musica
(Finale Emilia; Florence, after 1692). Italian composer. No
biographical links with Germany have been found to explain his
nickname, Tedeschino,
so it may simply have described his
personal appearance. He was in the service of Grand Duke Ferdinando
III of Tuscany in Florence when he published Sonata da chiesa e da
camera a 3 strumenti, col basso continuo per l’organo op.1 (Bologna,
1690), which he described as ‘an immature part of my early
composition’. He may also have worked at Modena for the Este
family, since two oratorios (S Caterina and S Genovefa Palatina), six
trio sonatas and one cantata for solo voice with continuo survive in
manuscript in the library there (I-MOe). Four pieces are also
included in a 17th-century manuscript collection of arias and
cantatas (in I-Bc), and he appears to have written a sacred history,
La libertà prodigiosa (Florence, 1692).

Presso la Biblioteca della Musica di Bologna Strada Maggiore 34 (1) si apprende
che sono presenti a Bologna le seguenti musiche di Giovanni Battista
Gigli:
– un manoscritto miscellaneo, con segnatura DD.49, contenente quattro
composizioni (questo il link alla scheda del catalogo Gaspari on line
http://www.bibliotecamusica.it/cmbm/scripts/gaspari/scheda.asp?id=8071)
-un’edizione, Sonate da chiesa, e da camera … Bologna, Pier Maria
Monti, 1690, segnatura Z.248. Il documento è riprodotto
integralmente e consultabile a partire dalla scheda on line
(http://www.bibliotecamusica.it/cmbm/scripts/gaspari/scheda.asp?id=11581 )
Interessante la sua dedica “all’Altezza Serenissima di Ferdinando III Gran
Principe di Toscana etc. da Gio. Battista Gigli detto il Tedeschino,
Servitore Attuale della medesima Altezza. Opera Prima. Serenissima
Altezza Non crederei poter esprimere più vivamente l’umilissima mia
divotione verso V. A. S. che con rappresentarlo tale su le stampe,
prendendo la libertÃ
di dedicarle un immaturo Parto delle mie prime composizioni di
Sinfonie Musicali. Degnisi per ora l’A. V. S. come Principe di
perfetta intelligenza di gradire questo picciol tributo del mio profundissimo ossequio con benignità pari
alla sua Grandezza, che umilissimamente ne la supplico, e piova Iddio
abbondanza sempre maggiore di celestiali benedizioni e felicitÃ
sopra alla quale reverentissimamente m’inchino. Di V. A. S. Firenze
li 24 Giugno 1690. Vmiliss. Devotiss. et Obligatiss. Ser. e Suddito
GI0. BATTISTA GIGLI.

La musicologa Antonella D’Ovidio ci permette di entrare nella Corte dei Medici scoprendo altre informazioni su Giovanni Battista Gigli. Nel suo ‘Mecenatismo musicale di Vittoria della Rovere  (2) (che divenne granduchessa di Toscana avendo sposato nel 1637 Ferdinando II
e che fu madre del futuro Cosimo III) si legge che Vittoria affinò e coltivò negli anni, patrocinando esecuzioni di musiche .. (ed) esercitando la sua protezione su cantanti e compositori. Tra questi si segnala nella sua corte la presenza stabile dei compositori Giovanni Maria Pagliardi, Antonio Veracini, Giovanni Battista Gigli e del cantante Ippolito Fusai, Vittoria si occupa in prima persona del reclutamento di musici, dei loro
spostamenti in altre corti e della loro protezione, intrattenendo una
fitta corrispondenza al femminile con alcune delle più importanti
donne di rango della nobiltà europea, ricreando in tal modo uno
spazio di autonomia decisionale in cui il sistema di patronage si
interseca con i rapporti diplomatici e dinastici.”
Alla Principessa Farnese di Siena, Vittoria ‘scrive una lettera dipresentazione a favore del compositore Giovanni Battista Gigli (detto
‘Il Tedeschino’),’celebre suonatore d’arcileuto’
che sarÃ
negli anni a venire musicista a Servizio del Gran Principe Ferdinando, cui dedicherà le sue Sonate da chiesa e da camera a trestrumenti, col basso continuo per l’organo, op.1, pubblicate nel1690
Sulla  sua produzione musicale nel Journal of the Royal Musical
Association
(3), Antonella D’Ovidio (nel confrontare Gigli con altri
compositori) scrive ’ Similar observations may be made about the
sonatas of Giovan Battista Gigli, a virtuoso on the theorbo in the
service of Grand Prince Ferdinando; Gigli is frequently documented as
participating in the staging of operas at the Villa di
Pratolino..’Gigli’s sonatas are distinguished above all by their
brevity and concision- qualities that are evident not only within the
formal structure of these works, but also in their motivic
development’

Sulla figura del Gran Principe Ferdinando de’ Medici, nipote di Vittoria della Rovere il musicologo Gabriele Rossi Rognoni  (4) scrive su come Ferdinando ‘ reinterpreti in chiave personale l’utilizzo della musica che storicamente era stato fatto dai Medici come consolidamento del suo ruolo pubblico..Tale impiego ridimensionato dal padre Cosimo III, Ferdinando infatti non si limita, come era sua consuetudine, a offrire il proprio patrocinio, o a promuovere finanziariamente celebrazioni di grande richiamo, ma giunge a scegliere personalmente soggetti, compositori, cantanti, strumentisti…p.39
In particolare , per il nostro scopo di ricerca su G.B.Gigli le seguenti parole sono preziose’ L’attività di un
gruppo di musicisti ‘personali’ di Ferdinando, regolarmente
stipendiati, emerge da numerosi documenti di pagamento: ne fanno
parte Martino Bitti, suo violinista favorito, Giovanni Battista
Gigli,
tiorbista e compositore, i cantanti Carlo Antonio
Zanardi..Giuseppe Canavese e il cembalaro Bartolomeo Cristofori’p.42
(Cristofori sarà poi l’inventore del pianoforte)
In conclusione, la nonna del Gran Principe Ferdinando, Vittoria della
Rovere , come abbiamo visto, scrisse una lettera di presentazione
per segnalare il celebre suonatore di arciliuto G.B.Gigli alla
principessa Farnese di Siena, il nipote Ferdinando lo stipendiava
come musicista di corte per le varie manifestazioni musicali a
cominciare da quelle della Villa di Pratolino , inoltre lo troviamo
dipinto in ‘una testimonianza eccezionale per la ricchezza dei
dettagli dell’attività musicale privata di Ferdinando..nelle
cinque tele realizzate da Anton Domenico Gabbiani a partire dal 1685
per decorare la villa di Pratolino’ pag.44 G.Rossi Rognoni (una è nella foto n. 2) .

Se poi a questo periodo mediceo aggiungiamo il tempo trascorso alla
corte estense di Modena, su questo nostro concittadino c’è materia
per scoprire altro (chi furono i suoi maestri e chi i suoi allievi,
se ha avuto relazione con l’ambiente musicale finalese ecc.)
 Nel capitolo dedicato alla Musica strumentale di Marta Lucchi (5) si legge
’Durante gli ultimi decenni del Seicento e i primi del Settecento
Modena diviene un centro propulsivo per la musica in cui si producono
contributi innovativi per la definizione delle nuove forme della
composizione strumentale’ ‘ imponente la ‘produzione
cameristica di sonate da camera, da chiesa, sinfonie, balletti
firmate non solo dai Bononcini ma anche da..Giovanni Battista Gigli e
altri’


Galileo Dallolio

P.S.
L’importante capitolo 20 (pp.389-409)’La musica a Finale’ di
Mons.Ettore Rovatti, Finale Emilia, Mille anni di storia.
Vol.2
Baraldini 2012, sarà oggetto di uno studio da svolgere insieme a
Giovanni Barbi, presidente di Millenium Finalis, e con chi vorrÃ
collaborare. Barbi ha ricevuto dalla dr.ssa Furini copia
dell’inventario dell’Archivio Musicale di Finale, documento che
attesta la presenza e la diffusione della cultura musicale a Finale.

 **Foto 2 ) Anton Domenico Gabbiani, Il Gran Principe Ferdinando e i suoi musici ,
1685ca., olio su tela Firenze, Gallerie dell’Accademia, Museo degli
strumenti musicali del Conservatorio
Luigi Cherubini’ Nel presente
dipinto, in piedi, in primo piano,(a destra) è ben riconoscibile il
principe stesso in atto di rivolgersi al cantante Vincenzo
Olivicciani, alla sua sinistra mentre alla sua destra compare dal
fondo il busto di Alessandro Scarlatti.. sempre da destra verso
sinistra si vede un giovane con chitarrone
che potrebbe essere
Giovanbattista Gigli,
compositore e liutista giunto proprio nel 1685
dalla corte estense di Modena, casato i cui rapporti con i Medici e
con Ferdinando in particolare erano, in quel giro d’anni, assai
intensi. Lo stesso personaggio è raffigurato nell’atto di suonare
un mandolino al centro del dipinto seguente. (dipinto n.2 Musici del
Granprincipe..) Testo presente nella guida alla mostra ‘La musica
alla corte dei granduchi’, Firenze Galleria dell’Accademia
28.5-28.11 2001 a cura di Gabriele Rossi Rognoni

* Foto 3) Antonio Domenico Gabbiani, Musici del Granprincipe Ferdinando 1685 ca
Secondo l’autore del sito www.haendel.i t i nomi dei musicisti
sono, da sinistra: Pietro Salvetti, Federico Meccoli, Giovanni
Battista Gigli,
Francesco Assolani, Giovanni Taglia, Antonio Veracini, Francesco Veracini 

*** Davide  Rebuffa  Centro
Studi Piemontese di Musica Antica http://daviderebuffa.altervista.org/testi.php

NOTE

1)
Nella Guida al percorso espositivo del Museo Internazionale e
Biblioteca della Musica di Bologna a cura di Lorenzo Bianconi e Paolo
Isotta, 2017 si ha un’idea della ragioni per cui Bologna nel 2006 è
‘Città creativa della musica UNESCO

2)
Firenze e la musica. Fonti, protagonisti, committenza. Scritti in ricordo di
Maria Adelaide Bartoli Bacherini. A cura di Cecilia Bacherini,
Giacomo Sciommeri e Agostino Ziino, Istituto Italiano di Storia della
Musica, Roma 2014.p.283

3)
Vol.135 part.2, 2010 nel saggio’Patronage, Sacrality and Power
at the Court of Vittoria della Rovere: Antonio Veracini’s op.1 Trio
Sonatas

4)‘Il
gran principe Ferdinando e la musica,
Leggi Tutto

“Vogliamo parlare di dialetto?…” Luciano Manini

Bene, parliamo il dialetto! ma  che cosa è il dialetto?, e secondo chi? dove abita?  a cosa serve?  domande amletiche!
Proviamo a rispondere; cominciamo dalla seconda e rispondiamo anche alla prima: la risposta per gli scolarizzati e su fino a intellettuali, accademici e rettori, vedere la vocabolaristica. Per coloro che sono sempre stati considerati esseri inferiori, perchè analfabeti o quasi, è stata l’unica lingua conosciuta e il principale, se non unico, modo di comunicare; in quella lingua si esprimeva tutto il loro mondo del quale essa lingua era la figlia; definita, spesso spregiativamente, dialetto.

A questo punto abbiamo stabilito che il dialetto è stato, nei secoli passati, il linguaggio di coloro che non sono mai stati nessuno nei confronti di chi era, quanto meno scolarizzato; anche se è vero che nei secoli passati esisteva un dialetto colto ma in città , con altri contenuti, anche per il popolo. Oggi, il dialetto della bassa bolognese e i dialetti della regione Emilia-Romagna in generale, rimangono la chiave, il mezzo che ci permette di entrare nel mondo del lavoro, dell’esistenza, della vita delle classi subalterne.

 Terza domanda: dove abita? è semplice, fra coloro che lo parlano, che ne sono anche i depositari, nonchè padroni della cultura che l’ha prodotto e lo produce. Meno attendibile è la risposta Intelletual-Accademica, la quale a quanto se ne sa, si limita a fare campionature ma in quanto ad entrare nel merito dell’argomento e dei suoi contenuti se guarda bene , e quando lo fa non ha un risultato esente da qualche castroneria, qui pro quo, una conferma l’abbiamo nella lettura dei musei della cultura materiale della regione Emilia Romagna. Una cultura dialettofona, di origine analfabeta, misurata con canoni accademici è chiaro che il risultato non può essere che questo. Questi musei emiliano-romagnoli non ci tramandano (come dovrebbero) la cultura materiale o contadina; ci testimoniano la mancanza di elementi informativi di base e ne mettono in dubbio l’attendibilità , anche scientifica, se di scientificità  si può parlare. Inoltra non bisogna dimenticare, che all’inizio degli anni venti del secolo scorso, quando Lui (Benito Mussolini) salì al potere volle che tutti gli italiani parlassero la stessa lingua (cosa in sè giusta per poterci capire fra meridionali e settentrionali), poi si è passati, soprattutto le Università , a boicottare (così si esprimeva e ci ha lasciato scritto il Prof. Francesco Coco, già  Direttore dell’Istituto di Linguistica dell’Università  di Bologna) i dialetti italiani; da qui ha cominciato verosimilmente a prendere piede l’idea che il dialettofono sia un essere inferiore socialmente e culturalmente  ed ha un piede che resiste ancora, pur se deteriorato da accademici (non troppi) più illuminati, i quali si sono accorti che cancellando i dialetti, si cancellano anche le culture che li hanno prodotti.

  A che cosa serve? se non per altro, al meno come vocabolario per poter leggere la storia delle classi diseredate dei lavoratori del passato, specie di quelli che lavoravano la terra.  Inoltre, serve a coloro che ancora lavorano la terra, allevano bestiame o altro di affine in quanto, anche in questi ambienti, nonostante i neologismi e i paraformismi evolutivi, lessico, semantica e morfosintassi sono ancora gli stessi di secoli fa; sostituire questo dialetto con la lingua italiana (è notevolmente successo) si ripeterebbero le castronerie anzidette, tenuto conto che i vocabolari di dialetto bolognese sono sicuramente utili e validi per l’uso accademico ed urbano, in quanto scritti da persone colte e di cittâ, ma per la bassa bolognese (anche per la bassa valle del Reno) sono insufficienti e inattendibili per due motivi: a) ciò che è codificato non sempre è corrispondente a ciò che si intende in campagna, quindi necessitano di verifica; b) sono mutili del nostro lessico, con relativa semantica, di gente della bassa bolognese soprattutto per quello che riguarda  le terre umide: valli, bonifica, risaie (continua)
                                                              
    Manèze
Luciano Manini

Ritorna la torre civica in tutto il suo splendore

Un sapiente restauro ha ridato ai persicetani un loro simbolo
*(Da archivio notizie ottobre 2003)
 
Nella nostra pianura nel passato ogni paese aveva la sua torre con funzioni di avvistamento a scopo di difesa e come emblema del luogo e di chi aveva il potere sul territorio.A poco a poco le torri hanno perso nel tempo la loro funzione e sono state trasformate in campanili di chiese costruite vicino o adibite ad abitazioni e poi ultimamente lasciate prive di ogni cura.. Purtroppo la mancanza di una funzione istituzionale le ha danneggiate: deterioramento della struttura architettonica, asportazione, non sempre permessa, di parti decorative o addirittura di materiale murario da adibirsi ad altre strutture.

Per molti paesi della pianura la torre, testimone della storia del paese, è rimasta solo nello stemma comunale.

Ciò non è avvenuto per fortuna a San Giovanni in Persiceto. La torre civica per un po’ di tempo è stata contornata da impalcature e coperta da velari .

Il Comune, che ne è proprietario, con il contributo di Enti pubblici e privati e in base ad un progetto della Sovraintendenza ai beni culturali, ha proceduto al recupero della torre: consolidamento della struttura muraria, rifacimento e recupero della cupola, delle meridiane e tanti altri piccoli, ma importanti, lavori.

Ora il velario è calato e la torre, del XIII secolo, saluta i visitatori in tutta la sua bellezza: merita senz’altro una visita

La pianura: scenario famigliare. Sara Poluzzi

Pensieri e parole percorrendo gli argini di Reno e Samoggia

Testo e foto di Sara Poluzzi. da “Marefosca” Aprile 2006

L‘aria è fredda e pungente, odora di terra bagnata e intorno non si odono rumori, tranne quello dei passi miei e del mio cane Conan, che scricchilano leggermente sull’erba coperta di brina. Si intravedono,  in lontananza, testimonianze di attività umane: qualche camino che fuma, qualche macchina, così lomtana da non percepirne veramente la presenza. La nebbia avvolge i nostri passi, a distanza, quasi con discrezione; attorno a me vedo lo scenario famigliare: la Pianura.

Mi pervade la bella sensazione di essere a casa, di poter finalmente lasciare libera la mia vista di sconfinare, fino a dominare il paesaggio, almeno fino a dove la nebbia me lo consente. La vastità del cielo in questi luoghi può sconvolgere, può sembrare talmemte sproporzionata da creare un senso di oppressione in chi non vi è abituatoma non per chi, come me, ci è nato, per me che cerco sempre punti in cui il mio sguardo possa liberarsi oltre i palazzi, oltre le montagne, dove io possa sentirmi come mi sento quando supero la periferia di Bologna e l’appiattimento del paesaggio e l’allargarsi del cielo mi dicono che sono quasi giunta a destinazione, che sono quasi a casa.

 

Da quando non abito più stabilmente a Decima, tornare è diventato un rito, accompagnato da gesti volti a celebrare il mio ritorno, da assaporare con calma, per fare affluire lentamente al cuore le sensazioni del passato e del presente che si mescolano, per dare un senso ai minuti del breve viaggio che mi separa dalla mia casa.
 

Leggi Tutto

Le quattro stagioni del Teatro-Casa del popolo di Argile. Magda Barbieri

Il teatro di Castello d’Argile, che compie quest’anno 110 anni di vita (1907-2017), ha una storia del tutto diversa da quella degli altri teatri sorti nel corso dei secoli 1700-1800 nei comuni vicini, ad esempio a Pieve di Cento, a Cento, a S. Giovanni in Persiceto e a Bologna. Iteatri del ‘700/’800 potremmo definirli, sia pur sommariamente, teatri di iniziativa e impostazione borghese, in quanto promossi, costruiti e finanziati dalle locali classi borghesi, costituite dai possidenti e dai professionisti che avevano influenza sulla vita pubblica come amministratori componenti dei
Consigli comunali locali, in possesso dei mezzi economici necessari per sostenere le spese e acquistare i palchi, e con quel tanto di cultura che dava la spinta ideale e il desiderio di essere promotori e fruitori di eventi culturali , spettacoli e concerti offerti dagli artisti del loro tempo.
Certo che questo tipo di teatri ha avuto una importante funzione nella diffusione della cultura, e poteva avere anche un saltuario e parziale utilizzo “popolare” in certe occasioni; c’era sempre un “loggione” o una “piccionaia”
Leggi Tutto

GEV Guardie Ecologiche Volontarie. Chi sono.

A DIFESA DEL TERRITORIO E DI AIUTO AI CITTADINI
Le Guardie Ecologiche Giurate Volontarie sono costituite in associazioni provinciali. In base alla Legge Regionale 23/89, è operativo nella nostra provincia un’associazione di nome CP GEV con sede a Bologna in via Selva di Pescarola 26, telefono e fax 051/6347464(sito web www.guardiecologiche.it) con sedi periferiche a S. Giovanni in Persiceto, Casalecchio di Reno, S. Lazzaro di Savena, Camugnano ed  Imola.
Alle GEV è affidato in particolare il compito di vigilare sull’osservanza delle norme Statali e Regionali per la conservazione del patrimonio naturale e dell’assetto ambientale riportate dalle Leggi Regionali istitutive del Servizio di Vigilanza Ecologica Volontaria.
Ne fanno parte 261 Agenti che, superato un apposito esame al termine di un corso, sono stati  nominati Guardie Particolari Giurate (con Decreto Prefettizio, in base all’art.138 del T.U.L.P.S.-Testo
Leggi Tutto

Villa Giovannina. Alberto Tampellini

– Testo tratto dal libro Le dimore dei signori  Marefosca editore, 2004, per gentile concessione dell’autore Alberto Tampellini e dell’editore. Foto di Floriano Govoni
Percorrendo la strada che da Persiceto conduce a Ferrara, in prossimità  di Cento ci si trova
improvvisamente a fiancheggiare un lungo duplice filare di alti pioppi cipressini alla fine del quale, fiabesca e suggestiva, appare la visione di quell’austera mole architettonica chiamata Giovannina, la cui aristocratica presenza da alcuni secoli nobilita le plaghe al confine tra il Persicetano e il Centese. Eppure, per moltissimo tempo, l’origine di questo castello turrito è stata oggetto di equivoci e fraintendimenti che perdurano tuttora. E’ infatti opinione popolare assai diffusa che il palazzo fortificato prenda il nome da Giovanni II Bentivoglio, che fu signore di Bologna dal 1462 al 1506 e le cui opere di bonifica idraulica e di sviluppo edilizio in queste zone della Bassa Bolognese diedero in effetti nuovo impulso economico e
demografico a territori un tempo semipaludosi. Azzardata si dimostra però tale attribuzione, come del resto quella del progetto, per il
quale si è fatto il nome del famoso architetto Sebastiano Serlio (1475-1554/5). Si tratta di tesi sostenute probabilmente sulla scorta delle notizie riportate (senza citarne la fonte) dall’erudito centese Gaetano Atti nel sec. XIX (1). Solamente una decina di anni or sono le attente ricerche effettuate da Fausto Gozzi a seguito di precise analisi documentarie hanno potuto ricondurre alla realtà storica le remote origini di un edificio tanto famoso quanto ancora sconosciuto, attribuendone la costruzione alla famiglia senatoria bolognese degli Aldrovandi. 
  La stirpe d’Ildebrando   
Anche se gli Aldrovandi costituirono una delle famiglie più nobili e ragguardevoli di Bologna, le origini di questa casata, al pari di altre,  sembranoperdersi nella leggenda. Provenienti da Castel de’ Britti (sul crinale appenninico sopra l’Idice), ove conservarono a lungo una
serie di beni passati poi ai Fava, furono considerati discendenti di un tal Ildebrando, longobardo, da cui avrebbero preso il nome.
Le prime notizie certe risalgono invece al secolo XII, quando la famiglia, già insediatasi a Bologna, fu detta “dal Vivaro” perché residente in quella contrada. Sappiamo infatti che, a partire da quest’epoca, i suoi membri iniziarono a ricoprire importanti cariche pubbliche e ad avere
un peso nelle vicende politiche del Comune. Tra i primi ad essere menzionati dalle fonti è un Pietro Aldrovandi che figura tra i testimoni del solenne giuramento con cui gli abitanti di Oliveto (centro fortificato arroccato su di un picco nell’alta valle del Samoggia) si sottomisero a Bologna nell’anno 1175. Altri, in seguito, furono ammessi nel Collegio dei Savi e, a partire dalla metà del XIV secolo (con Giovanni e Pietro), ricoprirono più volte l’Anzianato. Agli inizi del XV secolo Nicolò  Aldrovandi, dottore in legge e membro del Consiglio dei Quattrocento, divenne gonfaloniere di giustizia, espletando importanti incarichi diplomatici per conto del governo cittadino.

Nello stesso periodo, dalla famiglia
uscirono anche lettori di diritto presso lo studio bolognese,
ambasciatori e magistrati; come quel Giovanni Francesco Aldrovandi
che, nel 1494, ospitò in casa propria per oltre un anno il
giovane Michelangelo Buonarroti, commissionandogli alcuni
lavori in città (2).

Un Leonardo Aldrovandi, giÃ
membro degli Anziani, fu inviato nel 1512 dal governo
bolognese nel castello di San Giovanni in Persiceto, in qualità di
commissario (3), mentre un Annibale Aldrovandi fu nominato
Cavaliere. 
Grandissimo rilievo in campo culturale ebbe poi  Ulisse
Aldrovandi
(1522-1605), medico, scienziato e naturalista di
grande fama, autore di numerose opere erudite in campo botanico e
zoologico e creatore del cosiddetto “Museo Aldrovandiano”,
cioè di quella raccolta ragionata di minerali, fossili, campioni
botanici, oggetti esotici e stravaganti, reperti archeologici e
naturalistici di cui fece poi dono al Comune con atto testamentario.
Agli Aldrovandi furono concessi la dignità senatoria nel 1467,
per volontà di papa Paolo II, e, in due diverse riprese, dall’imperatore Carlo V nel 1535, ottenendo
inoltre di poter inserire l’aquila imperiale nell’arme del
casato
il titolo
comitale: dapprima la contea di Guia (nel Modenese) per un
breve periodo (dal 1586 al 1593), poi quella di Viano (nel
Reggiano) a partire dal 1598.

Leggi Tutto

Umanesimo, illuminismo, razionalismo …. da conoscere per capire

Ricerca e  osservazioni a cura di Magda Barbieri
Recentemente sono stati pronunciati dal Papa e da alcuni cardinali e
monsignori (seguiti da dotte e controverse interpretazioni di
filosofi e teologi sulla stampa) severi anatemi contro il
nichilismo, il bieco illuminismo, il
“relativismo etico“, l‘umanesimo ateo
e il razionalismo, accostati indiscriminatamente al nazismo,
sfoderando termini di cui temiamo che la maggior parte dei comuni mortali non conosca il significato. Infatti, soprattutto in Italia, a tutti
i bambini e ai ragazzi si insegna il catechismo cattolico, nelle
parrocchie e a scuola con l’ora di religione; ma non viene data loro
la stessa opportunità  di studiare, o almeno di conoscere altre
religioni e il significato delle sopra citate definizioni filosofiche
e della storia dei relativi movimenti di pensiero. Conoscenza
riservata, e quasi sempre in modo superficiale, a chi frequenta le
scuole superiori , ma soprattutto solo ai pochi che fanno studi
specialistici specifici di filosofia e teologia.
Ascoltando  le sopra citate affermazioni di
condanna  è ovvio che la maggior parte degli
italiani, cattolici per battesimo, sacramenti e
catechismo ricevuti nell’infanzia, anche se adulti tiepidamente
fedeli e poco praticanti, saranno indotti a considerare tali idee
negativamente,  senza nemmeno fare lo sforzo
di cercare di sapere in proprio di che si tratti.
Proviamo quindi a fornire “lumi”, o
almeno alcuni rudimenti in proposito, per par condicio, colmare
le lacune cognitive di tanti e dar loro una opportunità  di
conoscenza, da approfondire con altre letture, ovviamente, per chi
ha tempo e voglia.
Cominciamo dal termine più noto e
lontano nel tempo, riprendendo la spiegazione che ne dà  il
Dizionario enciclopedico Zanichelli (Edigeo 1995), e
tralasciando la citazione dei concetti più complessi e dei filosofi
e scrittori di non comune conoscenza.

Umanesimo:
“movimento culturale che dalla metà  del secolo XIV alla metà  del
secolo XV, con la riscoperta o la rilettura o la reinterpretazione
dei testi della classicità  greca e latina, pose le premesse della
civiltà  del Rinascimento e ne costituì la base ideologica. In senso
lato indica un atteggiamento culturale, riscontrabile in epoche
diverse, caratterizzato dalla fedeltà  alla lezione del mondo
classico……. Questo concetto di humanitas esprime la convinzione
che gli uomini sono accomunati , al di là  delle differenze etniche,
dalla capacità  di padroneggiare un linguaggio che sia specchio della
razionalità  ….. consapevolezza della comune appartenenza alla
condizione umana …. privilegio che implica anche una profonda
solidarietà  …..  L’humanitas ciceroniana concorre a
determinare , direttamente ed esplicitamente, l’ideologia di
Francesco Petrarca (1304-1374) , primo umanista moderno ….
Da allora, umanesimo è
l’esaltazione di quelle attività  intellettuali che, opponendosi sia
alla subordinazione dell’umano al divino, sia al primato delle
scienze esatte, indicano nell’uomo il fine irrinunciabile di
ogni sapere ….

Più tardi, nel secolo 1400, verrà
affermato il principio che l’uomo è libero artefice e costruttore
di se stesso.

E del Petrarca va ricordato, con breve
inciso, che fu figura complessa, di uomo e di letterato, ammiratore e
divulgatore della cultura classica latina e grande poeta in lingua
allora detta volgare (come Dante e Boccaccio); sempre dibattuto
tra la ricerca di sincera spiritualità  e il fascino dei piaceri
terreni; cappellano al servizio di un cardinale Colonna e poi di un
arcivescovo Visconti, e padre di due figli avuti da effimere
relazioni.

  • Passiamo all’illuminismo,
    tanto osteggiato dalle gerarchie ecclesiastiche, oggi come
    nell’Ottocento, sempre riferendo la definizione del Dizionario
    Zanichelli
    .-
    Illuminismo: (o filosofia dei lumi).
    Orientamento culturale sviluppatosi in Europa nel secolo XVIII
    (1700, n.d.r.). Muovendo dal pensiero filosofico degli empiristi
    inglesi …. esso ebbe una vasta diffusione soprattutto in Francia,
    improntando l’opera e il pensiero di Montesquieu, Voltaire, J. J.
    Rousseau e dettando i criteri ispiratori della compilazione
    dell‘Encyclopèdie di Diderot e D’Alembert ; grande influenza esso
    esercitò anche in Germania (G.E. Lessing .…) e in Italia, in
    particolare nell’ambiente napoletano (A. Genovesi, F. Galiani, F. M.
    Pagano) e milanese (P. e A. Verri e C. Beccaria).

Fondato sulla piena fiducia nella
capacità  della ragione di spiegare il mondo e di risolvere i
problemi di natura sociale e politica, promosse una severa analisi
critica di ogni forma di autoritarismo, scagliandosi in particolare
contro l’assolutismo monarchico, l’aristocrazia feudale e la chiesa,
caratterizzandosi in senso progressista.
Favorì inoltre lo sviluppo di nuovi
indirizzi in ogni campo del sapere, da quello degli studi storici, in
cui cercò di liberare il campo da ogni ipotesi provvidenzialistica
di stampo religioso e di combattere la visione della storia come
frutto della sola attività  di sovrani ed eserciti; alle discipline
economiche, da quelle biologiche a quellle più¹ strettamente
filosofiche .
Espressione, dal punto di vista
sociale, dell’emancipazione culturale della nuova classe borghese,
ormai protagonista del mondo economico e commerciale e ansiosa di
conquistarsi nuovi spazi anche politici, rappresentò il principale
fattore
Leggi Tutto