Ipotesi sull’origine del nome di Galliera. Franco Ardizzoni

IPOTESI SULL’ORIGINE DEL NOME DI GALLIERA
L’origine del nome di Galliera non è ben chiaro poichè esistono diverse ipotesi. Ipotesi espresse da studiosi seri e documentati come Alfonso Rubbiani ed Edmondo Cavicchi, ma anche da studiosi poco informati come Ovidio Montalbani.
Alfonso Rubbiani teorizzava che il nome potesse derivare dai Galli Boi , che avevano abitato le zone marginali dell’agro bolognese dopo l’arrivo dei Romani. Cioè come era avvenuto per altre località che ancora oggi conosciamo: come Gallo ferrarese (comune di Poggio Renatico), un altro Gallo (nei pressi di Castel S. Pietro), Forum Gallorum (oggi Castelfranco Emilia), Campus Gallianus (Campogalliano, oggi in provincia di Modena). Ma mentre per le suddette località la radice è sempre “Gall”, per Galliera non è¨ la stessa cosa in quanto nella latinità , in pieno Medioevo, il suo nome era “Galeria”, come risulta da alcuni documenti, di cui il più antico risale all’anno 997. Pertanto l’ipotesi di Rubbiani non avrebbe più senso poichèmille anni fa il nome era Galeria e soltanto successivamente, probabilmente per effetto del dialetto, divenne Galira e poi Galiera, con una sola  L . Infine Galliera.

– Un’altra ipotesi, proprio dovuta al nome Galeria, è avanzata nel 1868 dal prof. Francesco Rocchi, docente di archeologia all’Università di Bologna. Il Leggi Tutto

Rileggendo “Le parole della memoria” di Giovanni Sola. Testo di Galileo Dallolio

E’ un piacere e una fortuna avere a disposizione
Le parole della memoria. Vocabolario, locuzioni e proverbi del dialetto finalese
di Giovanni Sola per la rivista finalese “La Fuglàra”.
Un piacere perchè la sua consultazione
permette di avere a disposizione rievocazioni di atmosfere e di
persone di molti decenni fa. Una fortuna perchè se non fosse stata
per la sua pazienza, dedizione e competenza , questo patrimonio non
ci sarebbe stato.
Dice bene il professor Lepschy nella presentazione:
Un ultimo motivo per cui lavori
come questo sono benvenuti, riguarda il loro valore civile. Ci
aiutano a non dimenticare il nostro passato, e a non lasciare morire
la cultura che si manifesta nei nostri idiomi locali, e la cui
ricchezza umana e sociale non è certo inferiore a quella legata alla
lingua nazionale che è venuta gradualmente a sostituirsi, invece che
ad affiancarsi ad essi come avrebbero voluto alcuni fra gli
intellettuali progressisti nel periodo postunitario, primo fra tutti
il fondatore della dialettologia italiana scientifica, G.I.Ascoli.

Con Giovanni ci si vedeva “sota Nadal , par Pasqua , pri Mort”
e la conversazione entrava subito
sul dialetto e sulle sue ricerche più recenti.
Ricordo
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“Dialetto e cultura contadina”. Corso di aggiornamento al Museo della Civiltà contadina.

Dal 6 ottobre al 24 novembre 2005, tutti i giovedì alle 15, presso Villa Smeraldi a S. Marino di Bentivoglio, con il patrocinio di Provincia di Bologna /Assessorato alla cultura Regione Emilia Romagna/Istituto per i beni culturalil’ ISTITUZIONE VILLA SMERALDI – MUSEO DELLA CIVILTA’ CONTADINA con la consulenza del DIPARTIMENTO DI ITALIANISTICA DELL’UNIVERSITA’ DI BOLOGNA

e la collaborazione del “GRUPPO DI STUDI DELLA PIANURA DEL RENO
  ha  organizzato un Corso di aggiornamento per insegnanti e altri interessati sul tema
“DIALETTO E CULTURA CONTADINA”
Finalità : il corso, riconosciuto dal Centro Servizi Amministrativi di Bologna/ Ministero dell’Istruzione, si propone di fornire a un gruppo di insegnanti le conoscenze linguistiche ed etnostoriche idonee alla conduzione in ambito scolastico di esperienze di uso didattico del dialetto e a un approccio alla conoscenza di uno dei nuclei della cultura popolare del passato, la cultura contadina.
 – Destinatari: insegnanti delle scuole elementari e medie, inferiori e superiori, della provincia di Bologna, ma anche altri interessati.

– Periodo e sede: ottobre-novembre 2005; Villa Smeraldi, Via Sammarina, 35, S. Marino di Bentivoglio (Bo)

– Durata: 24 ore, suddivise in 8 incontri – uno alla settimana – della durata di tre ore ciascuno. In ogni incontro, sono previste due lezioni della durata di 1.30 ciascuna.

Partecipazione: gratuita e aperta sino alla concorrenza di circa 30 domande di iscrizione da effettuarsi via fax presso la Segreteria del museo – 051 89 83 77 – entro venerdì 16 settembre 2005

Calendario-programma del corso di aggiornamento Dialetto e cultura contadina

  •  – giovedì 6 ottobre ore 15.00
    Werther Romani (Dipartimento di Italianistica Bologna),
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La canzone dialettale bolognese. Fausto Carpani

Il dialetto in musica Appunti per una piccola storia. Sintesi dell’ intervento di Fausto Carpani de “La famàja bulgnàisa”

ConvegnoAl dialàtt e la scòla 27/11/2004 Villa Smeraldi-Museo della Civiltà  contadina S. Marino di Bentivoglio

  Nella primavera del 1926, un gruppetto di amici innamorati di Bologna , e alcuni di essi già  noti come autori di poesie, scritti o musiche ispirati alla tradizione bolognese, si fece promotore di un concorso di canzoni originali che, in dialetto o in lingua, esprimessero l’anima popolare petroniana.
Se il teatro bolognese aveva avuto alle sue spalle una lunga tradizione, risalente al XVI secolo con Giulio Cesare Croce (1550-1609), non altrettanto poteva dirsi della canzone , per la quale si trattava di operare non un rilancio ma una vera e propria nascita. Questa impresa poteva dunque apparire forzata, perchè in questo campo Bologna non vantava certo le tradizioni di Napoli o di Roma.

Canzoni aveva scritto e cantato lo stesso Croce (non a caso chiamato “della Lira“, una sorta di violino a cinque corde con cui si accompagnava) , dando l’avvio a quella non trascurabile successione di cantastorie arrivata con Piazza Marino (1909-1993) e Dina Boldrini fino ai giorni nostri.
Benchè si sia trattato di una produzione anonima e per lo più orale, non di meno essa può ritenersi comunque interprete di sentimenti Leggi Tutto

Religiosità  popolare. Una preghiera non “canonica” in dialetto. Magda Barbieri

Articolo-testimonianza personale per il Corso di Aggiornamento su “Dialetto e cultura contadina“. Museo della Civiltà  contadina. S.Marino di Bentivoglio (ott./nov. 2005)
  
       Sgnour a m’ trag zò ,

        liverm a n’ al sò.

        Casomai ch’a nu’ m ‘ livàss ,

        l’alma mi a Dio a la làss,

        ch’al la lìva,

         ch’al la pàisa,

       ch’al la métta in dù» ag’sovv .

Per chi non conosce il dialetto bolognese possiamo farne una libera traduzione in italiano:
“Signore mi corico, /se mi alzerò non lo so /. Casomai non mi alzassi, / l’anima mia a Dio la lascio, / che la sollevi, / che la pesi/ che la metta dove gli sovviene.”/

Si tratta di una breve preghiera che mia nonna recitava ogni sera come introduzione, o talvolta a chiusura, di una serie di orazioni, ovvero di preghiere canoniche , recitate a memoria in un latino un po’ deformato, tipico di chi non conosceva nè il latino nè l’italiano .
Questa breve preghiera, pur nella sua semplicità , è una piccola poesia, e al tempo stesso l’ espressione spontanea di un sentimento religioso forse più chiaro ed efficace di tante enunciazioni Leggi Tutto

Dalla toponomastica popolare alla toponomastica “ufficiale”. Magda Barbieri

Nei secoli passati  solo le antiche grandi strade consolari romane avevano una denominazione  che derivava , appunto, dal nome del console  che le aveva fatte costruire : via Emilia, Aurelia, Cassia, Appia, ecc…; ma nelle campagne, e anche nelle città  , non esistevano denominazioni ufficiali per le  strade, nè  i numeri civici per le case, nè  indirizzi precisi come li abbiamo noi oggi. Nei documenti pubblici o atti notarili dove fosse necessario indicare una abitazione o un podere oggetto di compravendita, si usava scrivere il nome del proprietario   dell’edificio o del terreno venduto e i nomi dei proprietari dei terreni confinanti, “a levante“, “a ponente” , “a mezzogiorno” e “a tramontana“; se c’era, si citava la presenza di un fossato, o di un fiume confinante, o di uno ”  stradello pubblico” o di una “via che va a…”, seguita dal nome della località   verso cui la strada era diretta.

Per orientarsi e distinguere i luoghi e  le strade rurali e urbane,  nel parlare quotidiano, gli abitanti  si abituarono ad inventare  e usare denominazioni spontanee o popolari che, se  ben motivate e facilmente riconoscibili  e memorizzabili, diventavano di uso corrente nel tempo e per secoli.

 Nelle città  la denominazione poteva derivare dalla presenza prevalente di botteghe o artigiani di una determinata categoria ( fabbri, orefici, lanaioli, pescherie…), o anche dalle più  svariate e fantasiose motivazioni , che tramandavano la memoria di un episodio importante o curioso, la presenza di un edificio o di un’insegna  particolare.

  Nelle zone rurali le denominazioni popolari traevano origine spesso da caratteristiche naturali o ambientali, come la presenza di un grande albero o di più  alberi della stessa specie lungo il percorso (pioppi e roveri in particolare), di un bosco, di paludi o “lame” d’acqua; a volte poteva essere la denominazione di un oratorio all’inizio della via; altre volte, anzi spesso , era il cognome della famiglia dei possidenti dei terreni adiacenti e dell’immancabile palazzotto o villa signorile, presenti per secoli, che dava identità  e denominazione ad una via o a un borgo.

Capitava spesso anche che tali denominazioni popolari, nel corso del tempo, venissero storpiate o alterate per errata trasmissione orale consolidata successivamente, Leggi Tutto

Un messaggio d’amore alla mamma da un poeta ferrarese

Miè màdar
Una candela ad zzìra banadéta
brusà tuta par nu.
– Parché…
Parché aver préssia

ssé tant prèst l’è sìra,
par mi,
par ti,
par tuti?
Anche se è abbastanza facile da capire, per i non ferraresi traduciamo:
Mia madre
Una candela di cera benedetta
bruciata tutta per noi
Perchè
Perchè aver

fretta
se tanto presto
è sera
per me,
per te,
per tutti?

Si tratta di due brevi poesie di Alfonso Ferraguti, nato e vissuto a Marrara (FE), esperto in agraria, per laurea e professione, uscito allo scoperto come poeta in età matura, con la raccolta ’Na manèla

, nel 1960, Leggi Tutto

Note di toponomastica di Molinella. Tullio Calori

  Come si sa, dai tempi più¹ antichi la maggioranza dei centri urbani, delle piazze e delle strade acquisiva, con la mirabile continuità  della tradizione orale, appellativi motivati dai costumi, dalle caratteristiche naturali, da episodi storici o di modesta cronaca, da persone illustri o dalla parlata del luogo. Una toponomastica spontanea dunque che costituisce un patrimonio di storia locale che è necessario conoscere e gestire con attenzione. Fu la Rivoluzione Francese a diffondere la moda di intitolare vie e piazze a personaggi o avvenimenti che travalicavano l’ambito paesano, e così nell’odonomastica ( che ¨ una sezione della toponomastica dal greco odos= strada) le testimonianze epigrafiche ed onomastiche del passato divennero una sorta di sacrario o di elenchi celebrativi di patrioti, di glorie, nazionali o internazionali, nelle attività  umane.

Anche in Italia leggiamo nomi legati soprattutto alla storia, dall’Unità  in poi e ad avvenimenti degli ultimi decenni.. Tutto bene quando si rimane entro certi limiti ma molti luoghi si sono trasformati in un gigantesco pantheon o musei a cielo aperto.

Nel territorio di Molinella dove da sempre scorrono fiumi come il Reno e l’Idice e tanti canali regolati dall’uomo nonché zone depresse con acque stagnanti, la toponomastica spontanea conta un numero straordinario di idronimi che si riferiscono all’acqua in modo diretto ma spesso anche mediato: Marmorta, Miravalle, via Idice Abbandonato, via del Cavedone, Riviera Argentana, via Fiumevecchio, via Lungoreno, Passo dell’Argine del Quaderna, ma anche Traghetto, via dei Ponti, Rotta del Giardino, via Tagliamenazzo ed il nome della Molinella stessa. Nel 1950, su 198 toponimi, 93 erano tipici idronimi e 49 con allusione indiretta ma chiara ai corsi d’acqua. Anche la canalizzazione superficiale delle estese risaie contribuiva ad aumentare tali caratteristiche.

Questa toponomastica di Molinella cominciò ad essere ufficializzata solo negli ultimi anni del secolo XIX. In precedenza l’esigenza di un ordinamento era poco sentita perché capoluogo e frazioni furono soggetti nel periodo napoleonico a frequenti variazioni di confini con scompaginamento dell’ onomastica stradale.

La numerazione civica, regolarizzata nel 1904, è stata aggiornata Leggi Tutto

Religiosità  e linguaggio popolare. Dalla preghiera all’imprecazione. Magda Barbieri

 

La bestemmia e il turpiloquio

Quando si parla di religiosità popolare dei secoli scorsi, e in particolare del 1900, si riferisce sempre delle manifestazioni della fede, di riti e culti ufficiali e pubblici, tradizioni e costumi personali e famigliari, edifici religiosi, immagini sacre, preghiere e gesti di pietà per chiedere benevolenza e grazie a Dio, alla Madonna, ai Santi.
Ma nel mondo contadino, e bracciantile, era presente anche un altro aspetto, che quasi sempre viene ignorato o deliberatamente evitato da studiosi e raccoglitori di memorie linguistiche e sociali: la pratica della bestemmia e del turpiloquio. Certo questo appare come un aspetto sgradevole, che agli occhi, e agli orecchi, di molti può generare un giudizio negativo nei confronti delle persone e delle classi sociali che lo praticavano più o meno diffusamente; e non bisogna dimenticare che la bestemmia, oltre ad essere considerata peccato mortale dalla Chiesa, se pronunciata pubblicamente, di fronte a due testimoni, era un reato da codice penale ( e lo è rimasto fino al 1999; ora è ancora punibile con sanzione amministrativa).

Ma non si può prendere dalla storia solo quello che ci piace o corrisponde alle nostre teorie o desideri. E non si può giudicare o valutare, o semplicemente riferire di una espressione linguistica, senza conoscere e cercare di capire il contesto sociale e umano e il sentimento da cui scaturisce.

Dunque, Leggi Tutto

“Il dialetto e la scuola”. Cronaca del convegno a Villa Smeraldi

E’ stata una giornata intensa e ricca di interventi e contributi, sicuramente molto significativi e indicativi di punti di vista diversi e di una varietà  di iniziative espresse dal territorio bolognese, sul tema del rapporto tra dialetto e scuola, davanti ad un pubblico numeroso e attento, presente dal mattino alla sera. Parliamo del Convegno intitolato Al dialatt e la scola. Per un uso didattico del dialetto nelle scuole bolognesi”, svoltosi il 27 novembre scorso

a Villa Smeraldi , S. Marino di Bentivoglio, per iniziativa dell’Istituzione-Museo della Civiltà contadina, dell’Assessorato alla cultura della Provincia di Bologna, dell’Istituto per i Beni Culturali della regione Emilia-Romagna, con la consulenza del Dipartimento di Italianistica dell’Università di Bologna, con il patrocinio del Centro Servizi Amministrativi di Bologna del Ministero dell’Istruzione, e , infine,  con la collaborazione del nostro Gruppo di Studi della Pianura del Reno.

Tanti enti e istituzioni, dunque, mobilitati per valutare le possibilità di recuperare e ridare vitalità e  senso ad una lingua popolare antica, da molti ormai ritenuta ” morta”, ma che conserva ancora molte potenzialità come strumento didattico in campo linguistico e storico, e come mezzo espressivo di una cultura materiale ricca  anche di valori spirituali.

Le valutazioni dei relatori sono state tutte sostanzialmente Leggi Tutto