Da Castel S. Giorgio a S. Giorgio di Piano

Pillole di storia sangiorgese. A cura di Anna Fini-1
Quando il nostro paese si chiamava CASTEL SAN GIORGIO
Dal 1388 il nostro paese era chiamato Castel San Giorgio ed i Bolognesi ne avevano sollecitato la riedificazione fortificata per potenziare la difesa della città felsinea.
La denominazione CASTELLO, nei documenti di tutto l’Ottocento, indicava il centro abitato del paese, all’epoca sostanzialmente costruito attorno alla via principale; orti e campi erano presenti dietro alle case sino alla zona dei “TERRAGLI” (appianati nel secolo precedente) cioè quei luoghi del fossato e del doppio terrapieno che difendevano e delimitavano il Castello; questa è la zona che a tutt’oggi chiamiamo “il nostro centro storico”.
Gli accessi al paese sino ai primi anni dell’ottocento avvenivano attraverso 2 porte poste a nord ed a sud della strada principale: porta Ferrara, che possiamo ammirare ancor oggi e porta Bologna, demolita nel 1867. In quel periodo storico si aprirono anche gli accessi a est ed a ovest del paese.

La denominazione Castel San Giorgio rimase sostanzialmente sino all’Unità d’Italia per poi scomparire gradatamente da tutti i carteggi ufficiali, ma rimase nella memoria popolare la frase “a vag in Castel”, utilizzata per molti anni dai vecchi sangiorgesi per indicare l’andare in piazza o al centro del paese anche se si abitava a poche decine di metri di distanza.

La popolazione di San Giorgio a metà Ottocento oscillava Leggi Tutto

S. Giorgio di Piano e la Grande Guerra. Anna Fini

SAN GIORGIO DI PIANO NELLA GRANDE GUERRA
Ricerca storica di Anna Fini
All’entrata in guerra dell’Italia il 24 maggio 1915 San Giorgio era un paese con 4826 abitanti ma in piena espansione: infatti la zona verde dei terragli, che cingeva il paese, era stata suddivisa in numerosi lotti ed era già iniziata la costruzione delle prime abitazioni; parte delle nuove vie e piazze erano state intitolate già dal 1911, in occasione del cinquantenario dell’Unità d’Italia, ai futuri territori italiani allora ancora in mano austriache.
Il paese non solo si stava ingrandendo ma si era abbellito col nuovo “acciottolato” nella via principale, col restauro di porta Ferrara e con la costruzione di nuove case per operai, abitazione dotate di “gabinetti”; inoltre, erano appena stati costruiti nuovi edifici per tutta la comunità quali il macello, un lavatoio pubblico ed un “fabbricato d’isolamento” per ricoverarvi le persone affette da malattie contagiose e dove era possibile usufruire del bagno pubblico.
Un acquedotto pubblico distribuiva l’acqua sia al lavatoio che alla popolazione attraverso 3 fontanelle poste lungo la via principale e da un anno a San Giorgio “il castello” aveva l’illuminazione elettrica, mentre alle frazioni era stata ceduta quella precedente a Leggi Tutto

Vita e satira di Fortebraccio

Sabato 27 giugno 2009, alle ore 10 , a S. Giorgio di Piano, piazza Indipendenza 1, presentazione del libro
Fortebraccio. Vita e satira di Mario Melloni a cura di Pasquale Di Bello e Paola Furlan (Ed. Diabasis)
Dopo il saluto del sindaco Valerio Gualandi, presentazione di Fabio Govoni, interventi di: Emanuele Macaluso e Marisa Rodano. Presenti  i curatori del volume e Mauro Roda, presidente della Fondazione Duemila
In occasione del ventennale della scomparsa del giornalista, noto con lo pseudonimo di Fortebraccio, inaugurata una scultura a lui dedicata.
Mario Melloni (nato a San Giorgio di Piano, 25 novembre 1902  e morto a Milano, 29 giugno 1989) E’ stato un giornalista e politico italiano.
Inizialmente di professione calzolaio, fu antifascista e durante la dittatura mussoliniana visse per molte tempo in esilio a Parigi. Durante la Seconda guerra mondiale prese parte alla Resistenza partigiana e nel 1945 si iscrisse alla Democrazia Cristiana. Laureato in giurisprudenza, fu giornalista e dal 1946 al 1951 direttore del quotidiano Il
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La colonna spoglia di S. Giorgio di Piano. Anna Fini

Tra i monumenti presenti a S. Giorgio di Piano ve n’è uno alle cui sembianze ormai siamo abituati ma che in realtà  è solo una parte dell’ originale, stiamo parlando del monumento ai Caduti della prima guerra mondiale che era costituito da un basamento e una colonna in marmo ed in cima la Statua Alata della Vittoria. L’opera ora si trova all’interno del cimitero locale ma nel 1922 quella stessa posizione era al centro dell’aiola prospiciente l’ingresso del cimitero. In quell’anno l’Amministrazione propose al Comitato Comunale costituitosi per l’erezione di un monumento ai caduti in guerra, la costruzione di un’ Arca Monumentale nell’area d’ingresso al cimitero ove raccogliere le salme dei defunti militari e che di per sè avrebbe costituito il miglior monumento; tale progetto incontrò difficoltà  sia dal lato tecnico sia per la spesa elevata che non si ritenne possibile per le finanze comunali.  Accantonata l’idea dell’Arca il comitato avanzò un altro progetto comunicando al Sindaco Raffaele Ramponi  l’inizio dei lavori di scavo per le fondazioni del monumento per l’indomani ; era il 20 aprile1922.
Il nuovo progetto era costituito da un basamento ed una colonna in marmo sormonta
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1914 – L’illuminazione pubblica a S.Giorgio di Piano passa dall’acetilene all’elettricità. Anna Fini

2014: CENTO ANNI DELLA
ILLUMINAZIONE ELETTRICA PUBBLICA A S. GIORGIO DI PIANO.
Ricerca
di Anna Fini
Esattamente 100 anni fa, nel
1
914, nel comune di San Giorgio di Piano si passava
dall’illuminazione pubblica a gas acetilene all’illuminazione
elettrica.
Ma come avvenne questo passaggio?
Nel lontano 1912 la SocietÃ
Elettrica di Bologna chiese d’iniziare le pratiche per
impiantare una rete di pubblica illuminazione elettrica a San
Giorgio. La Giunta, allora presieduta dal Sindaco
Gaetano Rossi, pensando che questo nuovo sistema fosse
più sicuro, più economico e più pratico rispetto al sistema sin a
quel momento utilizzato, affidò all’assessore Gaetano Tommasini
l’incarico di studiare l’argomento.
San Giorgio attraversava, in quegli
anni, uno “sviluppo dell’arte edilizia” con un aumento
delle dimensioni del paese che aveva reso l’impianto
d’illuminazione a gas acetilene insufficiente ed era quindi
indispensabile la sua estensione oppure la sua sostituzione con un
impianto a luce elettrica. Le due soluzioni vennero vagliate
dall’Amministrazione
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Storia della Casa del popolo di S. Giorgio di Piano. Anna Fini

** Ricerca di Anna
Fini
basata su studi
di Luigi Arbizzani
1,
su documenti dell’archivio storico del Comune di San Giorgio di
Piano e su testimonianze raccolte.
“Le sedi dei
partiti operai e bracciantili a S. Giorgio si costituirono alla fine
dell’ottocento e s’ identificarono, come in tanti altri paesi
della campagna, con le sedi delle Case del Popolo.
La
formazione di queste sedi stabili avviene in 2 momenti successivi.
In un primo
tempo2 il ritrovo
dei movimenti di operai, artigiani e contadini era nei posti più
popolari: le osterie.
Gli aderenti
ai movimenti (in modo particolare in Emilia Romagna) si ritrovavano
in questi luoghi tradizionali per trascorrere il tempo fuori dal
lavoro, per riposarsi, per riunirsi tra amici e per giocare;
facevano così crescere le loro organizzazioni, proteggendosi
nell’anonimato che gli esercizi pubblici potevano offrire.
Successivamente
e sino ai primi due decenni del novecento si diffusero le Case del
Popolo; qui le organizzazioni operaie e bracciantili elessero le sedi
dei circoli, delle leghe, delle cooperative di consumo e delle Camere
del Lavoro
.
“…Dopo
l’ottanta3anche
in diversi piccoli comuni agricoli della provincia, e specie nella
pianura, erano state istituite
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Porta Capuana, edilizia “popolare”. Angela Abbati

Il Castello di S. Giorgio fu riedificato alla fine del XIV secolo su di un preesistente impianto di antica origine, ma le parti in muratura furono completate dopo il 1403 (?) con l’arrivo a Bologna del nuovo Legato Pontificio Baldassarre Cossa.
Le sole parti ricostruite del Castello, il quale non era circondato da mura, ma da palizzate, da terrapieni e da larghe fosse, erano le due porte munite, l’una verso Bologna e l’altra verso Ferrara. Rimane ancora quella che volge a settentrione e Ferrara[1]              
In queste immagini della fine dell’800, inizi 900, la Porta Ferrara (o Capuana) appare come era prima del restauro eseguito nel 1913 ed è abitata. La merlatura (che nel suo aspetto originario doveva essere scoperta) risulta tamponata con mattoni a vista, mentre erano state create delle piccole aperture per le finestre. Anche l’arco centrale, prospiciente l’interno del paese, era chiuso da una grande meridiana incastonata, di origine forse settecentesca .La presenza dei camini lascia inoltre supporre che al piano superiore vi fossero delle stufe o caminetti che consentivano di poter riscaldare l’ambiente. Tutto ciò garantiva un certo grado di abitabilità  all’edificio.

Ma chi erano gli abitanti di Porta Capuana?

Una leggenda popolare narra che nell’Ottocento un carrettiere di San Pietro in Casale si era innamorato della figlia del carceriere di San Giorgio, ma il padre della ragazza (a causa dell’antica rivaltà  tra i due paesi contigui) non vedeva di buon occhio l’unione. Allora il giovane escogitò uno stratagemma per poter vedere l’amata: aggredì un carabiniere per poter essere arrestato e finire in carcere, che si trovava allora proprio. all’interno della Porta Capuana.

Al di là  della veridicità  di quanto racconta la leggenda ottocentesca riguardo la presenza di un carcere  (o per lo meno di una guardina)  dentro la porta Ferrara, è comunque assai probabile che circa un secolo fa la porta assolvesse una funzione di tipo abitativo. Lo attestano le foto dell’inizio del ˜900.                 

 
Dal confronto tra le fotografie precedenti e quelle immediatamente dopo il restauro del monumento,condotto nel 1913[2], si possono rilevare i principali obiettivi di quell’intervento.Oltre al consolidamento del fabbricato e all’eliminazione degli evidenti guasti, il restauratore di allora si proponeva come finalità  prioritaria di rimuovere i tamponamenti presenti in facciata, resi necessari dall’uso residenziale a cui era stato adibito l’edificio in favore delle persone indigenti.

La rimozione del tamponamento che accecava l’arco posto verso la piazza principale, aveva comportato la distruzione dei resti di quella bella meridiana dipinta rappresentata nelle antiche fotografie.

Recentemente l’amministrazione comunale di San Giorgio di Piano ha approvato un progetto di sistemazione della Porta Ferrara, redatto dall’Ufficio Tecnico Comunale.

Il progetto di restauro, elaborato dall’architetto Pier Franco Fagioli, si propone di valorizzare le caratteristiche storico-artistiche del monumento.

L’intervento di riqualificazione  della porta e delle strade adiacenti prevede, oltre al consolidamento strutturale, la valorizzazione estetica dell’edificio attraverso alcune opere, tra cui il ripristino della meridiana storica sul lato meridionale.

Rimossa in seguito al restauro del 1913, la sottile parete in foglio che delimitava l’arco, viene riproposta per andare in contro al desiderio di tanti cittadini di vederla ripristinata nella conformazione e nelle dimensioni di un tempo.

La nuova meridiana si propone con caratteristiche assolutamente moderne, per leggerezza e facilità  di sostituzione: utilizzerà  nuovi materiali e sarà  disegnata su vetro color bianco.

Questa soluzione risponderà  contemporaneamente a due esigenze: l’illuminazione  diurna e notturna. La luce solare filtrerà  di giorno, per rendere agibile il primo piano della Porta.

L’illuminazione interna di sera renderà  visibile  Porta Ferrara anche da notevole distanza, permettendo al monumento stesso di essere meglio valorizzato e di fare da sfondo scenografico a via della Libertà .

Angela Abbati
 
Note
1] Da Lino Sighinolfi: Il Castello di San Giorgio di Piano, Tip. Neri, Bologna, 1914
[2] L. Sighinolfi, ibidem 

 

Matrimoni civili e matrimoni cattolici a S. Giorgio di Piano. Anna Fini – Angela Bonora

Note storiche dal 1807 ad oggi sul territorio di S. Giorgio di Piano. Articolo già  pubblicato su “Il Sangiorgese” n4/dic. 2004
Matrimoni civili e Matrimoni cattolici
Dipartimento del Reno,
 Distretto e Cantone di Cento,
Comune di San Giorgio di Piano
“Questo giorno 5 gennaio 1807 alle ore 6 pomeridiane, avanti di me sottosegretario uffiziale dello Stato Civile sono comparsi li sottoscritti sposi i quali anno fatto dichiarazione di futuro matrimonio, sentito la quale ho dato corso alla publicazione seguente.(1)
Quest’oggi 11 gennaio anno 1807, alle ore 10 della mattina e stata pubblicata ad alta voce, da me sottoscritto ufficiale dello Stato Civile alla Porta della Residenza Municipale la promessa di matrimonio di Paolo Balarini d’anni 27, di professione fattore, vedovo della fu Liberata Sarta, colla Maria Geltrude Salvagna d’anni diecinove domiciliata in San Giorgio di Piano esercente la professione di tessitrice, figlia di Domenico, di professione piodano, e della Liberata Meotti di professione tessitrice entrambi di San Giorgio, ed ho fatto affiggere la presente pubblicazione il suddetto giorno 11 gennaio alle ore 11 di mattino alla porta della Residenza Municipale per la communicazione”
 =aviso=
“il pubblico, e avertito che vi è promessa di matrimonio tra Pietro Paolo Ballarini d’anni 27 di professione fattore domiciliato in Santa Maria in Duno, figlio del fu Petronio e della fu Catterina Rinaldi, e la Maria Geltruda Salvagni di San Giorgio di Piano d’anni diecinove di professione tessitrice figlia di Domenico e della Liberata Meotti, e questa è stata oggi pubblicata giorno di domenica 11 del mese di gennaio alle ore 10 di mattino dal sottoscritto uffiziale dello Stato Civile avanti alla porta della Residenza Municipale di San Giorgio di Piano, il giorno 23 gennaio alle ore 6 pomeridiane sarà celebrato il matrimonio in questa residenza Municipale, secondo il prescritto della legge ed acciò niuno possa alegarne ignoranza il presente avviso, e stato affisso alla porta esteriore di questa Casa Municipale di San Giorgio di Piano”
 Domenico Cristiani uffiziale civile
Anno 1807

Oggi, sia che il matrimonio avvenga in forma religiosa che in forma civile, le formalità da espletare sono ben diverse (2). Non perché siano passati ben quasi 200 anni da quel gennaio del 1807 e la moda sia cambiata, ma perché diversi fatti storici si sono verificati che hanno cambiato anche la struttura con la quale si presenta un atto civile o ecclesiaatico. La Pianura Padana, specialmente quella sotto il Legato Pontificio di Bologna, come il territorio di San Giorgio di Piano, ha spesso avuto problemi connessi alla religione, al culto e alle norme ecclesiastiche. Il potere temporale dei Papi si è fatto sentire non poco. Il Papa era un sovrano assoluto e in più era capo della Chiesa generalmente riconosciuta, quindi, per diversi secoli, ha legiferato sia dal punto di vista civile che religioso.
Uno dei problemi, che la popolazione ha sentito maggiormente, è stato scegliere se accedere al matrimonio civile o al matrimonio consacrato dal sacramento ecclesiale.
Il problema è datato ed è stato posto da lungo tempo nel passato, tanto da essere stato argomento di trattazione conciliare in tempo di Controriforma.Il Concilio di Trento ebbe successo in campo disciplinare sul matrimonio, pur formalmente lasciando agli sposi la liberta di scelta (erano comunque i parenti degli sposi a decidere le unioni). Si riconobbe validità solo ai matrimoni celebrati all’interno delle chiese cattoliche e davanti ad un sacerdote. Le unioni coniugali informali o celebrate secondo antichi riti tradizionali, nelle varie regioni e tramandati da secoli, erano considerate a livello di concubinato. Il matrimonio pubblico celebrato in chiesa aveva una doppia funzione consacrare una unione e formalizzarla dal punto di vista giuridico.
Il matrimonio veniva trascritto nei registri tenuti presso gli archivi delle parrocchie e ciò consentiva di verificare che non avvenissero matrimoni tra consanguinei e nello stesso tempo l’autorità ecclesiale e pubblica poteva conoscere i rapporti di parentela tra i sudditi. Inoltre veniva accresciuta l’influenza della chiesa nel controllare il comportamento, l’atteggiamento, del popolo nella vita sociale e sessuale.
Ma non solo la chiesa cattolica si pose in questo contesto, anche le chiese protestanti, luterane, calviniste, anglicane seguirono tale esempio.
La chiesa cattolica nei vari secoli, sino alla Rivoluzione Francese, ha amministrato i matrimoni dichiarando che “il legame coniugale ha le caratteristiche dell’unicità (o esclusività, cioè comporta la fedeltà), della totalità (consiste neldono totale e indissolubile di sé all’altro), della pubblicità (implica una responsabilità di fronte alla società)”.
“L’impegno definitivo e la responsabilità reciproca del matrimonio non sono paragonabili alla semplice unione “libera”, anche quando c’è un implicito intento matrimoniale. Il matrimonio è una realtà giuridica, dove non c’è impegno non c’è unione matrimoniale e tale impegno deve essere consacrato all’interno della religione professata”.
Già nel periodo dell’Illuminismo si ebbero i primi sentori di distacco dalle norme ecclesiali. LaRivoluzione Francese completò quello che era già quasi un dato di fatto.
Dopo l’invasione napoleonica (1797) i sangiorgesi, come tutti gli abitanti della pianura,che prima frequentavano tutti le funzioni essendo profondamente religiosi, anche se contrari nella massima parte al governo pontificio, iniziarono a disertare la chiesa.
La partecipazione ai sacramenti, che prima era pressochè obbligatoria, divenne gradualmente facoltativa, sviluppando nel clero un’inquietudine crescente e la tendenza a leggere il mondo come “scristianizzato” e lontano dalla vera religione della comunità cattolica.
La pratica religiosa e la frequenza alla Messa domenicale era normale per le donne, ma si riduceva sensibilmente ed era sporadica specialmente per gli uomini e a seconda della zona e della stagione. Generalmente si lavorava anche la domenica e la distanza dei poderi dalla chiesa parrocchiale non permetteva sempre di osservare il precetto di santificare le feste. Anche il precetto pasquale veniva osservato dal 10 per cento circa della popolazione. La prassi sacramentale era abitudinaria e seguiva la vita dell’individuo: la Prima Comunione che veniva conferita a 12-13 anni segnava normalmente la fine della vita infantile e anche della vita religiosa attiva, dopo questa età , generalmente, si frequentava la Chiesa solo in occasione del matrimonio. Ci si sposava in Chiesa per tradizione: i matrimoni civili erano diventati frequenti. La scarsa formazione religiosa induceva a vistose carenze: frequente era il concubinato e gli illegittimi numerosi, come pure molto diffusa era la prostituzione.
La caduta di Napoleone e la Restaurazione degli antichi regimi nel 1814, con il Congresso di Vienna, riportò lo Stato Pontificio nelle proprie sedi e da parte della chiesa si sviluppò un atteggiamento di condanna degli errori del passato governo e si invitarono i cattolici ad astenersi da ogni manifestazione pubblica civile e soprattutto di non contrarre il matrimonio civile. Ma da parte delle autorità comunali vi era la tendenza sempre più accentuata di tenere divise le questioni civili da quelle religiose, a partire anche dalla soppressione delle festività religiose, e soprattutto si voleva che i cimiteri, che erano stati sino ad allora di diritto ecclesiastico, passassero sotto l’autorità civile.
A San Giorgio di Piano il cimitero, localizzato per il passato vicino alla chiesa parrocchiale, negli anni 1804-1805 era stato spostato nell’attuale posizione, con una struttura monumentale decisa e gestita dall’allora autorità civile, ma il vero problema erano i matrimoni. Con la Restaurazione e anche negli anni successivi all’Unità d’Italia, da parte dei parroci si era formato l’uso di predicare contro il distacco  del popolo dalla chiesa, anzi alcuni dal pulpito minacciarono “i cittadini di pene spirituali se si fossero presentati al Sindaco per la celebrazione del matrimonio”. ” Ogni matrimonio che voi celebrate di fronte all’autorità civile è nullo e di iniuria forza ed è come se vi accoppiaste ad una di quelle donne da Casino di Bologna non solo ma i vostri figli sarebbero come illegittimi….” così si esprimeva dal pulpito il Parroco di Casadio il 14 gennaio 1866 e ciò dopo 7 anni dalla fine del dominio temporale della Chiesa su Bologna (11 giugno 1859) (3).
Se andassimo poi a guardare i registri di quegli anni e di quelli successivi si vedrebbe che le unioni di fatto erano abbastanza frequenti, malgrado gli anatemi del restaurato governo spirituale della Chiesa. Nei ricordi della popolazione sangiorgese è ancora vivo il fatto che tra i loro predecessori degli inizi del 1800, sotto la dominazione Napoleonica, le unioni di fatto o i matrimoni civili non erano così rari. I figli nati da tali unioni venivano registrati presso il Comune o solo con il nome della madre o con quello del padre e poi erano riconosciuti, legittimati da entrambi i genitori in tempi successivi, a volte dopo diversi anni, molto probabilmente quando i genitori si sposavano anche con il rito ecclesiastico.
Man mano ci si avvicina alla fine del 1800 decrescono i matrimoni civili a favore dei matrimoni religiosi ed è quindi logico supporre che il numero dei cosiddetti illegittimi, poi legittimati tenda a decrescere . Non ci è stato possibile fare un confronto di dati tra i valori numerici rilevati in comune e quelli rilevati dalla Parrocchia data il tempo assai recente di rilevazione, che può far pensare che molti dei legittimati abbiano ancora in vita discendenti e per i quali esista il diritto di privacy.
Dagli ultimi dati forniti dall’Ufficio Anagrafe di San Giorgio possiamo rilevare che le normative civili precedenti e successive il Concordato tra Stato e Chiesa del 1929 portano a discordanze notevoli: 50 matrimoni nel 1927, 42 nel 1928 (4), mentre nell’anno 1929 sono rilevati 44 matrimoni indicati come civili 27 e 17 ecclesiastici. Le norme del Concordato, che attribuivano al matrimonio ecclesiastico anche la proprietà di pubblicità civile, fanno rilevare in San Giorgio dagli anni dal 1930 al 1934 un solo matrimonio civile e tutti matrimoni ecclesiastici.
Abbiamo poi una rilevazione da considerare in concomitanza con la legge sul Divorzio (1970), non accettata dalla Chiesa per i matrimoni ecclesiastici.(5). Nel periodo i matrimoni sono meno numerosi, malgrado la popolazione sangiorgese tenda a crescere (6) . Negli anni 1970-73 appaiono matrimoni civili poco numerosi, che aumenteranno negli anni successivi, anche in funzione della modificata composizione della popolazione, dal punto di vista dell’immigrazione.
Oggi poi sono numerose le unioni di fatto, i figli nati da esse possono essere riconosciuti da entrambi i genitori o da un singolo genitore e i diritti legali dei figli di tali unioni si discostano molto poco da quelli dei figli nati all’interno di un matrimonio civile o ecclesiastico.

Angela Bonora e Anna Fini

 (1) Fu fatta una II pubblicazione uguale il 18 di gennaio.

 (2) Le pubblicazioni di un futuro matrimonio vengono affisse all’albo all’interno della casa comunale e in caso di matrimonio religioso le stesse vengono affisse anche all’interno della chiesa.

 (3) Da Rizzo Enrico, L’Antica Pieve di S. Marino e i suoi Comuni, Grafiche L’Artiere, 1989

 (4)) Matrimoni considerati civili dalle Autorità Comunali anche se venivano benedetti poi dalla Chiesa.

 (5) Sussiste ancora per essi il Tribunale della Sacra Rota che ha potere, in nome del Pontefice, di scindere i
 matrimoni effettuati all’interno della Chiesa per i cattolici praticanti.

 (6) Ovviamente non si può fare un confronto statistico con la popolazione esistente nei vari anni, non essendo sempre appurabile se gli sposi sono entrambi cittadini di in San Giorgio e se dopo il matrimonio rimangono ivi residenti.

Un ricordo di Luigi Arbizzani . Angela Bonora

Negli anni ’90 venni ad abitare a San Giorgio di Piano e mi incuriosì il paese, la sua gente, il suo essere. Domandai in Biblioteca comunale un libro sulla storia del paese e mi fu dato il volume “Uomini, lotte e altre cose. Immagini e documenti per una storia di San Giorgio di Piano” di Luigi Arbizzani … 
Mi lessi tutto lo scritto, ammirai le immagini,  mi ritrovai portata per mano dall’Autore dentro un mondo e ai suoi prima, gli anti, i diversi ricercati da un giovane che era stato stimolato alla ricerca dalla storia perduta dall’esigenza di partecipare, dall’esigenza di entrare nei momenti storici del paese, per viverlo intenderlo tangibilmente come problema reale, umano.

Non era la prima volta che mi imbattevo nell’Autore, altri volumi avevo avuto la possibilità di leggere nel cercare di capire i fatti storici che andavano dall’inizio del secolo agli anni ’90 e gli uomini che ne avevano fatto parte attiva.

Uomini, paese, …paesi,…problemi sociali politici, …lotte e sacrifici dei lavoratori. Tutto questo e tanto altro Arbizzani ha dato e continua dare ai suoi lettori.

Lo conobbi personalmente una volta in Biblioteca Comunale a San Giorgio, era il Direttore responsabile del Sangiorgese, il giornale locale. Gli occhi fissi nei miei, gentile, curioso…mi sono ricordata quello che di lui mi aveva detto Luciano Bergonzini, mi sono ricordata della sua amicizia fraterna con Mario Melloni (Fortebraccio), mi sono sentita piccola e doverosamente umile.

I rapporti con Lui sono continuati. Avevo un sogno che era stato sempre anche il suo, creare qualche cosa che aggregasse gli uomini, i paesi di questa vasta pianura lambita dal Reno.E’ stato il primo, malgrado i suoi numerosi impegni, a venire alle varie riunioni che hanno portato alla creazione, e alla vita poi, del Gruppo di Studi della Pianura del Reno. Suo è il nome dato alla rivista on line del Gruppo: “Reno, Campi, Uomini”, ed ancora ho visto brillare i suoi occhi soddisfatto che altre persone condividessero l’amore verso la gente, i luoghi, la storia passata e presente.

Credo che come Gruppo non possiamo fare altro che ricordarlo anche con i suoi lavori, perché i giovani e i non giovani possano attingere dalla sua saggezza ed amore, quindi trascrivo qui di seguito alcuni dei titoli che mi sono trovata più frequentemente:

  • Arbizzani Luigi, Battuti gli agrari a S. Giorgio di Piano, in Guida dell’operaio agricolo, Roma 1949
  • Arbizzani Luigi, La Società Operaia di S. Giorgio di Piano, in Emilia, Rivista della Regione Emilia Romagna, Bologna 1952
  • Arbizzani Luigi, Sguardi sull’ultimo secolo. Bologna e la sua provincia 1859/1961. Bologna, 1961,
  • Arbizzani Luigi, L’eccidio di S. Giorgio di Piano, in Al di qua della Gengis Khan, Galileo ed., Bologna, 1965
  • Arbizzani L., Bonfiglioli P., Renzi R. (a cura di) : Su, compagni, in fitta schiera. Il socialismo in Emilia Romagna dal 1864 al 1915, Cappelli ed., Bologna 1966
  • Arbizzani Luigi, Giuseppe Massarenti capolega di Molinella: con un’intervista di Palmiro Togliatti all’Organizzazione socialista, Arte-Stampe,  1967
  • Arbizzani Luigi, Un secolo di cooperazione modenese , (Commento a: N. Galassi, La cooperazione imolese dalle origini ai nostri giorni 81859-1967), Galeati, Imola 1968.
  • Arbizzani Luigi, Onofri Nazario Sauro: I giornali bolognesi della Resistenza: con un panorama della stampa durante il fascismo, ANPI, Bologna 1966.
  • Bergonzini Luciano – Arbizzani Luigi, La resistenza a Bologna, Testimonianze e documenti, II, La stampa periodica e clandestina, Istituto per la storia di Bologna, 1969 (Fonti per la storia di Bologna, Testi, 2-3)

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Luigi Arbizzani, protagonista, studioso e divulgatore della storia della Resistenza.

Dal 2005 la biblioteca di S. Giorgio di Piano è intitolata a Luigi Arbizzani, poichè il Comune ha voluto onorare la memoria di un concittadino che ha dedicato buona parte della sua vita alla ricerca storica e alla diffusione della conoscenza del frutto delle sue ricerche, rivolte soprattutto al delicato e importante periodo della Resistenza , accompagnate sempre anche dal suo impegno politico.
La sua biografia è¨ valorizzata soprattutto dalla sua bibliografia, che conta decine di pubblicazioni (v.  in fondo all’articolo).
Dal ritratto che ne ha tracciato Gian Maria Anselmi, Direttore dell’Istituto Gramsci dell’Emilia-Romagna apprendiamo che Luigi Arbizzani è nato a S. Giorgio di Piano l’11 marzo 1924,  ha frequentato l’Istituto industriale,  iniziando poi la professione di disegnatore tecnico. Dal 10 maggio all’8 settembre 1943 ha prestato servizio militare nel 1° Reggimento Genio a Camerino. La caduta del fascismo e l’armistizio dell’8 settembre 1943 lo colsero  quindi mentre svolgeva il servizio di leva. E’ entrato  a far parte della resistenza armata contro tedeschi e fascisti, operando nella zona di S. Giorgio di Piano come intendente del battaglione Tampellini della 2.a brigata Paolo- Garibaldi

Le doti peculiari di Luigi Arbizzani si manifestano soprattutto nello studio e nella ricerca storica riguardanti l’esperienza dell’antifascismo, della resistenza e del movimento operaio emiliano-romagnolo, cui ha dedicato tutta la sua vita, fino agli ultimi momenti; sin dalla Liberazione si è occupato di ricostruire la storia della lotta di liberazione e delle lotte dei lavoratori, così  come è stato un attento conoscitore della storia del Pci; su questi temi ha avuto un ruolo di primo piano come studioso e divulgatore della nostra storia recente, ha raccolto e conservato migliaia di documenti e testimonianze e su ciò  ha scritto numerosissimi saggi e  libri.
Dopo la Liberazione ha  fondato  il sindacato nel suo comune (Lega locale della Cgil di S. Giorgio) e poco dopo divenne dirigente del settore contadino (Confederterra) presso la Camera confederale del lavoro di Bologna.
Ha ricoperto  diversi importanti incarichi nell’apparato della Federazione del Partito comunista di Bologna, partito al quale è stato iscritto dal 1944: membro della segreteria della Federazione, responsabile stampa e propaganda, direttore della scuola di partito Istituto A. Marabini, responsabile del comprensorio Pci della pianura bolognese, responsabile della commissione per i problemi dell’agricoltura e membro del comitato regionale del Pci Emilia-Romagna. Anche più  avanti riprese la responsabilità nel partito di seguire la formazione dei militanti e dei quadri.

Alla fine degli anni ’60  ha partecipato alla nascita dell’Istituto Gramsci – Sezione Emilia-Romagna di cui divenne direttore. Al tempo stesso è stato membro degli organi dirigenti dell‘Istituto Ferruccio Parri di Bologna, costituitosi nel 1963 e associato all’Istituto Nazionale per la storia del movimento di liberazione in Italia e dell’Istituto Alcide Cervi di Reggio Emilia, costituitosi nel 1972.

Impegnato anche nell’amministrazione della città,  è stato Consigliere provinciale dal 1964 al 1975, ricoprendo nel secondo mandato l’incarico di capogruppo (1970-1975).

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