“La Pastulaze e la Mèca ad Malalberg” (La Pastolaccia e la Micca di Malalbergo) – Storia e ricette
1) La Pastolaccia (Pastulez in dialetto locale) è una ciambella tipica malalberghese che utilizza gli stessi ingredienti del più noto biscotto “Savoiardo”: però gli è differente per la sagomatura, in quanto viene tagliata a fette trasversali, come il Cantuccio toscano o come il Biscotto del Re altedese. In verità la Pastulaza, rispetto a quest’ultimi due dolcetti, è priva di mandorle e di burro, componenti indispensabili sia per il Cantuccio, sia per il Biscotto del Re. Secondo i racconti a noi tramandati oralmente dalle anziane signore malalberghesi (che a loro volta le avevano appresero dalle loro nonne) questo composto, fatto solo con farina, zucchero, uova e un po’ di lievito, risale alla seconda metà dell’Ottocento. Pare che l’idea fosse venuta ad un fornaio malalberghese che l’attuò dopo aver esaminato varie ricette suggeritegli dai viaggiatori (provenienti da diverse provincie italiane ed anche da svariati paesi europei), che qui transitavano per raggiungere le città di Bologna, Ferrara e Venezia. Essi spesso si
Un ricordo di Luigi Arbizzani . Angela Bonora
Non era la prima volta che mi imbattevo nell’Autore, altri volumi avevo avuto la possibilità di leggere nel cercare di capire i fatti storici che andavano dall’inizio del secolo agli anni ’90 e gli uomini che ne avevano fatto parte attiva.
Uomini, paese, …paesi,…problemi sociali politici, …lotte e sacrifici dei lavoratori. Tutto questo e tanto altro Arbizzani ha dato e continua dare ai suoi lettori.
Lo conobbi personalmente una volta in Biblioteca Comunale a San Giorgio, era il Direttore responsabile del Sangiorgese, il giornale locale. Gli occhi fissi nei miei, gentile, curioso…mi sono ricordata quello che di lui mi aveva detto Luciano Bergonzini, mi sono ricordata della sua amicizia fraterna con Mario Melloni (Fortebraccio), mi sono sentita piccola e doverosamente umile.
I rapporti con Lui sono continuati. Avevo un sogno che era stato sempre anche il suo, creare qualche cosa che aggregasse gli uomini, i paesi di questa vasta pianura lambita dal Reno.E’ stato il primo, malgrado i suoi numerosi impegni, a venire alle varie riunioni che hanno portato alla creazione, e alla vita poi, del Gruppo di Studi della Pianura del Reno. Suo è il nome dato alla rivista on line del Gruppo: “Reno, Campi, Uominiâ€, ed ancora ho visto brillare i suoi occhi soddisfatto che altre persone condividessero l’amore verso la gente, i luoghi, la storia passata e presente.
Credo che come Gruppo non possiamo
Le quattro stagioni del Teatro-Casa del popolo di Argile. Magda Barbieri
Il teatro di Castello d’Argile, che compie quest’anno 110 anni di vita (1907-2017), ha una storia del tutto diversa da quella degli altri teatri sorti nel corso dei secoli 1700-1800 nei comuni vicini, ad esempio a Pieve di Cento, a Cento, a S. Giovanni in Persiceto e a Bologna. Iteatri del ‘700/’800 potremmo definirli, sia pur sommariamente, teatri di iniziativa e impostazione borghese, in quanto promossi, costruiti e finanziati dalle locali classi borghesi, costituite dai possidenti e dai professionisti che avevano influenza sulla vita pubblica come amministratori componenti dei
Consigli comunali locali, in possesso dei mezzi economici necessari per sostenere le spese e acquistare i palchi, e con quel tanto di cultura che dava la spinta ideale e il desiderio di essere promotori e fruitori di eventi culturali , spettacoli e concerti offerti dagli artisti del loro tempo.
Certo che questo tipo di teatri ha avuto una importante funzione nella diffusione della cultura, e poteva avere anche un saltuario e parziale utilizzo “popolare†in certe occasioni; c’era sempre un “loggione†o
Museo della Comunicazione a Bologna, patrimonio della cultura
Fra i tesori nascosti delle istituzioni museali bolognesi ce n’è uno che merita una segnalazione per chi ancora non lo conosce, visto che è stato insignito del titolo di Patrimonio Culturale dell’UNESCO nel 2007 ed èvisitato da centinaia di scolaresche e turisti. Nelle sue ampie sale ci sono esposti oltre 2000 pezzi che testimoniano l’evoluzione degli strumenti della comunicazione da 250 anni fa ad oggi. E’ il
Museo della Comunicazione e del multimediale G. Pelagalli a Bologna,. Mille suoni – mille voci
Si trova nel centro della città , in via Col di Lana 7/N, e offre ben 12 settori espositivi, oltre a Biblioteca,
Videoteca, Audioteca e Cineteca. Due sale sono dedicate a Guglielmo Marconi e ai Fratelli Ducati e le altre a tutte le varie branche della Comunicazione. E’ visitabile su appuntamento , con la guida del fondatore – creatore di questa eccezionale raccolta, Giovanni Pelagalli.
Dal sito www.museopelagalli.com riccamente illustrato, abbiamo tratto una sintesi delle sezioni del Museo
Luigi Groto, il “cieco d’Adria” “terremotato” a Malalbergo nel 1570. Dino Chiarini
Luigi Groto -o Grotto,
come riportano alcuni documenti- (Adria, 7 settembre
1541–Venezia, 13 dicembre 1585) fu un celebre drammaturgo, poeta,
filosofo, musicista, ambasciatore di Adria presso la Serenissima
Repubblica. Era figlio di Federico e di Maria de’ Rivieri ed
appartenente ad una famiglia della piccola nobiltà adriese
proprietaria di vasti terreni; venne colpito da cecicità completa
all’età di otto anni. Fu membro di varie Accademie letterarie, tra
cui quella di “Umanae Litterae†di Adria, ed istituì una propria
scuola, l’Accademia degli Illustrati. Compose numerose poesie,
svariate commedie e tradusse diverse opere dal greco. Nei primi mesi
del 1567 fu processato come eretico per aver letto e conservato
alcuni libri di Erasmo da Rotterdam e di Bernardino Ochino: proprio
per questo motivo fu escluso dall’insegnamento. Più tardi,
precisamente l’8 luglio 1567, il processo si chiuse con l’abiura del
Groto ed il gesto lo rese sì libero dalle censure e dalla prigione a
vita, ma non gli consentì di tornare a insegnare, lasciandolo
Inaugurazione di “Casa Frabboni”
Alla presenza delle Autorità e dell’architetto Pier Luigi Cervellati verrà presentato il volume “Natale Guido Frabboni” edito da Minerva Ed.
nel pomeriggio alle ore 17 in via Matteotti, 137:
“ Apertura di Casa Frabboni: il recupero dell’edificio e la mostra delle opere dell’artista”
Alla presenza delle Autorità Comunali e Provinciali verrà inaugurata la Sede della nuova area museale.
Una poesia in dialetto ferrarese per la salama da sugo
Per celebrare i 10 anni di attività , l’AR.PA.DIA , Archivio Padano dei Dialetti, ha diffuso una poesia dedicata a “La salama da sugh frarésa”, un testo lirico di Alberto Goldoni quanto mai ad hoc in questo periodo di feste legato alle prelibatezze ferraresi che vanno gustate in famiglia. E’ un pezzo davvero da non dimenticare legato ad una tradizione alimentare che ormai è…patrimonio
dell’umanità . Alberto Goldoni fu un pioniere nel suo genere nella città di Ferrara, tra i migliori poeti e scrittori ferraresi in lingua italiana e dialettale, mancato al ‘suo’ pubblico nel settembre del 1990.
La poesia è tratta da “La poesia dialettale ferrarese“, antologia di opere tra Città e Provincia, a cura di Maria Cristina Nascosi, Ferrara, Comune di Ferrara, 1998, primo volume, anzi Numero Zero di Cóm a dzcurévan / Come parlavamo, la collana, che giungerà a breve al dodicesimo volume, di AR.PA.DIA., l’Archivio Padano dei Dialetti, nato ormai 10 anni fa e curato dalla stessa Nascosi per il Centro Etnografico / Centro di Documentazione Storica dell’Assessorato alle Politiche ed Istituzioni Culturali del Comune di Ferrara.
Ecco dunque il testo poetico-gastronomico, delizia dei ferraresi (*):
LA SALAMA DA SUGH FRARÉSA
Prima ad védrat int al piat, o bèla salamina,
at sént
Palazzo Fontana. Storia di un palazzo e dei suoi proprietari. Alberto Tampellini
** Testo tratto dal libro Le dimore dei signori, Marefosca edizioni, 2004. Per gentile concessione dell‘autore, Alberto Tampellini, e dell’editore, Floriano Govoni, possiamo conoscere le storie dei proprietari, del palazzo e della tenuta.
– La Villa o Palazzo Fontana,
nel territorio di San Matteo della Decima,è uno dei complessi rustico-residenziali più interessanti delle nostre campagne, anche se praticamente sconosciuto e attualmente in avanzato stato di degrado architettonico e strutturale. Contrariamente a quanto credono molti abitanti della zona, il suo nome non deriva dalla famiglia Fontana bensì dalla presenza di una vera e propria fonte d’acqua che sgorgava nei pressi (1). La denominazione “Fontana” indica inoltre anche la vasta tenuta agricola circostante, che si è costituita nel corso di secoli a partire dalle prime acquisizioni di terreni compiute nella zona da Ercole, figlio
Il sublimato di mercurio e il primo processo per inquinamento atmosferico, a Finale, nel 1689. Galileo Dallolio
1–Il trionfo del mercurio :
una vicenda che ha riguardato anche
Finale
Partendo
dall’evento che ha dato a Finale il singolare primato di essere il
luogo dove, per la prima volta in Italia, si sia fatto, nel 1689, un
processo per inquinamento atmosferico dovuto alla produzione di
solimato di mercurio, credo sia utile farsi un’idea di un
prodotto che ha avuto una larga diffusione nella pratica medica e
cheè¨ ancora citato nei prontuari e nei repertori dei termini medici
del 1960. (1)
Ricordo
che il processo si è concluso con l’assoluzione dei produttori ,
ma ha messo in moto una serie di eventi che meritano di essere
studiati. Mi riferisco all’amicizia fra Ramazzini e Leibniz ,
coinvolti entrambi nel processo per un atto di cortesia, e al
contributo di Leibniz alla fortuna europea del De morbis
artificumâ Il libro sancisce la nascita della medicina del lavoro
con ben 60 schede di malattie collegate a diversi mestieri e
Francesco Giampietri , nel
Oasi “La Rizza” di Bentivoglio
E’ stato denominato “Oasi La Rizza” da un antico toponimo attribuito al podere con edificio rurale che si trova al centro dell’area; edificio che è stato ristrutturato per ospitare il Centro Multifunzionale per i visitatori. Il Parco si estende su 1.500 ettari, accessibili partendo dalla via Vietta (che si dirama dalla strada provinciale S.Giorgio-Bentivoglio e conduce anche all’ex discarica), attraversati dal Canale Navile e dallo scolo Calcarata.
La mappa dell’oasi comprende zone umide permanenti, prati umidi, canneti, boschetti e siepi: inoltre, il centro per la reintroduzione della cicogna bianca, vasche per la fitodepurazione, laghetti per la pesca sportiva e l’allevamento dei pesci rossi e due capanni di osservazione situati nella cassa di espansione del Navile, accessibili a piedi o in bicicletta
Le zone umide permanenti si trovano vicino al “Ponte della morte“, nella parte più a nord, oltre “La Rizza” , dove il canale Navile e il Calcarata disegnano un’ansa, chiusa tra la via Olmo e l’ex podere “la Bianchina“. Sono ambienti caratterizzati da ampi specchi d’acqua, liberi da vegetazione emergente ma ricchi di vegetazione sommersa; nell’intrico di radici, fusti e foglie trovano riparo dai predatori numerosi organismi acquatici (invertebrati, larve di anfibi, avannotti e pesci adulti). Talvolta in superficie crescono piante “natanti” , come le “lenticchie d’acqua” , oppure radicate al fondo e con foglie e fiori galleggianti, come le ninfee o i ranuncoli d’acqua. La profondità dell’acqua deve essere di almeno mezzo metro per permettere l’alimentazione delle anatre tuffatrici, di folaghe e di uccelli che si nutrono di pesci , come il cormorano, il tuffetto e lo svasso maggiore. Il falco di palude e la biscia dal collare sono i predatori di questo ambiente. Le anatre tuffatrici nuotano anche sott’acqua; per alzarsi in volo devono correre sull’acqua prima di raggiungere la velocità sufficiente ; la posizione arretrata delle loro zampe rispetto al corpo facilita il nuoto ma rende difficile spiccare il volo.I prati umidi dell’Oasi si possono osservare percorrendo la via Olmo. Questi ambienti , ora rari nella nostra pianura, un tempo erano frequenti ai margini delle zone umide e venivano utilizzati per il pascolo estivo. Ambienti ideali per la rana verde e il rospo smeraldinopittima, il chiurlo, la pantana e il beccaccino. Vi sostano pure anatre di superficie, come il germano reale.
Il cavaliere d’italia e la pavoncella vi nidificano . E’ possibile vedere anche oche, spatole, cicogne e aironi. I boschetti del parco hanno origini diverse. All’interno dell’impianto di fitodepurazione si può osservare un boschetto di salici cresciuto spontaneamente quando le vasche furono lasciate incolte, mentre il pioppeto presso “la Rizza” è un residuo di coltivazioni praticate nei decenni passati. in varie zone del Parco Agricolo sono state effettuate delle piantumazioni di piante e arbusti autoctoni , tra i quali il salice bianco, il pioppo nero e bianco, il frassino, l’olmo ,il carpino, il biancospino e il pruno. TRACCE DEL PASSATO Nell’0asi sono ancora osservabili alcuni edifici diroccati che restano a testimonianza dell’uso agricolo di questo territorio in passato. Ad esempio, gli essicatoi per il riso, qui a lungo coltivato e fino a circa 40 anni fa; gli essicatoi per il tabacco , coltura praticata in via sperimentale agli inizi del 1900 e poi abbandonata; filari di gelsi coltivati quando fu fiorente l’allevamento dei bachi da seta, che si nutrivano delle loro foglie.“La mancanza di habitat idonei è una delle cause principali della riduzione o della scomparsa delle specie animali legate agli ambienti umidi; per questo motivo una