Pianura poetica. Mauro Franzoni

E quindi uscimmo

a riveder le stelle

e ognuno di noi

cercava d’esser solo

puro e disposto

a salire alle stelle

perciò cercammo

(ma non così bene!)

l’amor che muove

il sole e l’altre stelle.

(2002) 

Con questo affettuoso ed ironico plagio (avrete riconosciuto il finale dell’Inferno, del Purgatorio e del Paradiso del nostro sommo poeta, Dante!), apriamo un ulteriore spazio in questo già  ricco sito dedicato alla Pianura del Reno, dando la parola ad una delle più pure espressioni che l’intelletto umano abbia elaborato cioè la poesia.
Invitiamo tutti coloro che hanno versi chiusi nel cassetto di tirarli fuori e di portarli a conoscenza di tutti i visitatori di questo sito, perchè la storia e la valorizzazione del nostro territorio siano illuminate anche dalle parole che scaturiscono dal più profondo della nostra anima.

Il primo poeta ospitato è Mauro Franzoni (autore anche del plagio iniziale) con un suo acrostico (leggendo in verticale le iniziali di ogni verso risulterà  una parola, a dare una chiave di lettura a tutta la composizione).
Nato nel 1956, laureato in Storia Antica e socio fondatore di questa Associazione, ha iniziato la sua attività  poetica alla fine degli anni ’70.
Ha pubblicato le seguenti raccolte poetiche:
–         L’intonaco del cielo (1986)
–         Pallida eco (1991)
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Religiosità  popolare. Una preghiera non “canonica” in dialetto. Magda Barbieri

Articolo-testimonianza personale per il Corso di Aggiornamento su “Dialetto e cultura contadina“. Museo della Civiltà  contadina. S.Marino di Bentivoglio (ott./nov. 2005)
  
       Sgnour a m’ trag zò ,

        liverm a n’ al sò.

        Casomai ch’a nu’ m ‘ livàss ,

        l’alma mi a Dio a la làss,

        ch’al la lìva,

         ch’al la pàisa,

       ch’al la métta in dù» ag’sovv .

Per chi non conosce il dialetto bolognese possiamo farne una libera traduzione in italiano:
“Signore mi corico, /se mi alzerò non lo so /. Casomai non mi alzassi, / l’anima mia a Dio la lascio, / che la sollevi, / che la pesi/ che la metta dove gli sovviene.”/

Si tratta di una breve preghiera che mia nonna recitava ogni sera come introduzione, o talvolta a chiusura, di una serie di orazioni, ovvero di preghiere canoniche , recitate a memoria in un latino un po’ deformato, tipico di chi non conosceva nè il latino nè l’italiano .
Questa breve preghiera, pur nella sua semplicità , è una piccola poesia, e al tempo stesso l’ espressione spontanea di un sentimento religioso forse più chiaro ed efficace di tante enunciazioni Leggi Tutto

La canzone dialettale bolognese. Fausto Carpani

Il dialetto in musica Appunti per una piccola storia. Sintesi dell’ intervento di Fausto Carpani de “La famàja bulgnàisa”

ConvegnoAl dialàtt e la scòla 27/11/2004 Villa Smeraldi-Museo della Civiltà  contadina S. Marino di Bentivoglio

  Nella primavera del 1926, un gruppetto di amici innamorati di Bologna , e alcuni di essi già  noti come autori di poesie, scritti o musiche ispirati alla tradizione bolognese, si fece promotore di un concorso di canzoni originali che, in dialetto o in lingua, esprimessero l’anima popolare petroniana.
Se il teatro bolognese aveva avuto alle sue spalle una lunga tradizione, risalente al XVI secolo con Giulio Cesare Croce (1550-1609), non altrettanto poteva dirsi della canzone , per la quale si trattava di operare non un rilancio ma una vera e propria nascita. Questa impresa poteva dunque apparire forzata, perchè in questo campo Bologna non vantava certo le tradizioni di Napoli o di Roma.

Canzoni aveva scritto e cantato lo stesso Croce (non a caso chiamato “della Lira“, una sorta di violino a cinque corde con cui si accompagnava) , dando l’avvio a quella non trascurabile successione di cantastorie arrivata con Piazza Marino (1909-1993) e Dina Boldrini fino ai giorni nostri.
Benchè si sia trattato di una produzione anonima e per lo più orale, non di meno essa può ritenersi comunque interprete di sentimenti Leggi Tutto

Dialetto ed educazione linguistica tra passato e presente di un rapporto difficile. Werther Romani

Traccia della relazione di Werther Romani Università di Bologna Convegno al dialàtt e la scola“,  27 /11/ 2004 

Villa Smeraldi S. Marino di Bentivoglio

  N B Si precisa che il seguente testo è una semplice “traccia”, che riassume per sommi capi l’ intervento che il prof. Romani, docente dell’Università di Bologna, Dipartimento di Italianistica, ha svolto in modo più argomentato e completo al Convegno. Questo è  testo distribuito ai presenti.

SCUOLA E DIALETTO: STORIA DI UN RAPPORTO DIFFICILE

1) La situazione pre-unitaria

I dialetti sono usati normalmente -sia dagli analfabeti, sia dalle persone colte- nella comunicazione orale (ma c’è anche una, sia pur limitata, letteratura dialettale). L’italiano (sostanzialmente quello dei “classici” codificati dalla “Crusca”) è usato nella scrittura (ma, in certe situazioni, e da una ristrettissima minoranza, anche oralmente).
Nelle scuole ( tenute quasi sempre da religiosi) – ma i primi rudimenti tecnici della lettura e della scrittura vengono dati privatamente in casa o dal parroco- si insegna soprattutto il latino; poco l’italiano , meno che mai il dialetto, che per quasi tutti era la lingua materna. Quindi, in sostanza, il problema di un rapporto conflittuale scuola-dialetto non si poneva.

2) L’ Unità d’ Italia e la questione della lingua.

La spinta risorgimentale verso l’unificazione pèolitica condizione Leggi Tutto

“Vogliamo parlare di dialetto?…” Luciano Manini

Bene, parliamo il dialetto! ma  che cosa è il dialetto?, e secondo chi? dove abita?  a cosa serve?  domande amletiche!
Proviamo a rispondere; cominciamo dalla seconda e rispondiamo anche alla prima: la risposta per gli scolarizzati e su fino a intellettuali, accademici e rettori, vedere la vocabolaristica. Per coloro che sono sempre stati considerati esseri inferiori, perchè analfabeti o quasi, è stata l’unica lingua conosciuta e il principale, se non unico, modo di comunicare; in quella lingua si esprimeva tutto il loro mondo del quale essa lingua era la figlia; definita, spesso spregiativamente, dialetto.

A questo punto abbiamo stabilito che il dialetto è stato, nei secoli passati, il linguaggio di coloro che non sono mai stati nessuno nei confronti di chi era, quanto meno scolarizzato; anche se è vero che nei secoli passati esisteva un dialetto colto ma in città , con altri contenuti, anche per il popolo. Oggi, il dialetto della bassa bolognese e i dialetti della regione Emilia-Romagna in generale, rimangono la chiave, il mezzo che ci permette di entrare nel mondo del lavoro, dell’esistenza, della vita delle classi subalterne.

 Terza domanda: dove abita? è semplice, fra coloro che lo parlano, che ne sono anche i depositari, nonchè padroni della cultura che l’ha prodotto e lo produce. Meno attendibile è la risposta Intelletual-Accademica, la quale a quanto se ne sa, si limita a fare campionature ma in quanto ad entrare Leggi Tutto

Bibliografia sul Reno e aree adiacenti.

Testi pubblicati dal 1950 in poi, contenenti anche bibliografie sui libri antecedenti
(NB .Aggiornamento a gennaio 2007. Sono gradite e saranno aggiunte segnalazioni di altre opere più recenti sull’argomento n.d.r.)
AAVV ” I 70 anni del Consorzio della Bonifica Renana” . Bologna .1979
AAVV “Il Reno italiano”. Con testi di Stefano Cremonini, Guido Mansuelli, Giancarlo Susini, Alfeo Giacomelli, Paolo Guidotti e altri. Bologna 1991.
AAVV “La pianura e le acque tra Bologna e Ferrara” Atti del Convegno del Centro Studi Girolamo Baruffaldi di Cento. 1983AAVV “Le origini e i linguaggi. Cultura popolare nell’ Emilia Romagna”. Con testi di Nereo Alfieri,, Francesco Coco, Lucio Gambi, Giancarlo Susini, Vito Fumagalli, Antonio Ivan Pini, Franco Violi, Guido Mansuelli e altri. Milano. 1982.AAVV “Il Reno. Fiume da salvare”. Edi Huose. Bologna 1996.
AAVV “Terre ed acqua. Le bonifiche ferraresi nel Delta del Po”. A cura di Anna Maria Visser Travagli e Giorgio Vighi; con testi di Franco Cazzola e altri. Ferrara 1990.AAVV “Mestieri della terra e delle acque”. Collana “Cultura popolare nell’ Emilia Romagna”
AAVV “Storia di Cento”. ; in volumi 3; a cura del Centro Studi G. Baruffaldi; con riferimenti a studi e Convegni precedenti e testi di Giacomelli e Uggeri. Cento. 1987/1994
AAVV “Le Partecipanze Agrarie Emiliane”. A cura di E. Arioti, E. Fregni, S. Torresani. Nonantola 1990.
AAVV “Maccaretolo un pagus romano della pianura”. A cura di Stefano Cremonini: Deputazione di Storia Patria Bologna 2003.
AAVV “Tra Reno e Samoggia. Soluzioni per due fiumi.” pag. 98. Ed. Aspasia/Polis (Provincia di Bologna  e Comuni sinistra Reno) 1999
AAVV “La Bonifica della pianura tra Reno, Samoggia e Lavino” Supplemento a  “Il Divulgatore” 2002. A cura di Claudio Negrini e Carla Zampighi, pag. 18. Ed. Consorzio Bonifica Reno-Palata

  • Ardizzoni Franco “Galliera antica” . Siaca Arti Grafiche. Cento 2001
  • Ardizzoni Franco “La navigazione sul Reno nel Medioevo” in “Al Sas”, Rivista semestrale del Gruppo di Studi “Progetto 10 righe” e comune di Sasso Marconi, n. 10 a. 2004
  • Barbieri Magda “La terra e la gente di Castello d’ Argile e di Venezzano ossia Mascarino”; in volumi 2. Cento. Vol. I, 1994; vol. II, 1997.
  • Borghi Gian Paolo (a cura di ) “Il Reno. Memoria e futuro di un fiume”. Pag. 62. Ed. Litografia Faenza per conto di Provincia di Bologna, Prov. di Pistoia, Autorità  di Bacino del Reno. 1997
  • Branchesi Pacifico Maria “La sistemazione idraulica della Bassa bolognese durante il pontificato di Gregorio XV e cinque consulti inediti di Paolo Sarpi”. Bologna 1978.
  • Castaldini Donato “Evoluzione della rete idrografica centropadana in epoca protostorica e storica”, in “Insediamenti e viabilità  nell’alto ferrarese dall’età  romana al Medioevo” Atti di un Convegno nazionale. Ferrara. 1987/1989.
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La pianura del Reno com’era, com’è, come potrebbe diventare. Walther Vignoli

Finchè la mano dell’uomo non è intervenuta, la pianura bolognese era un insieme a macchia di leopardo di foreste planiziali ed acquitrini alimentati dai corsi d’acqua appenninici.
L’uomo sfruttava l’acqua per pescare ma anche per i suoi spostamenti, navigando.

Ha poi gradualmente trasformato quell’ambiente per adattarlo alle proprie esigenze: prelevare legname da costruzione o da ardere, raccogliere erbe palustri ed altri vegetali, cacciare, pascolare, disboscare per ricavare spiazzi da coltivare, controllare le acque, sia per difendere i campi come per ricavarne dei nuovi col metodo delle casse di colmata, consistenti in ampie aree arginate dove far defluire le acque torbide durante le piene, avendo il duplice effetto di evitare esondazioni ed alzare i terreni per decantazione.

Con la colonizzazione romana, a partire dal II secolo a.c.,  gli interventi sono diventati sistematici e razionali, si sono scavati canali, arginati corsi d’acqua, creata una rete di strade.
E’ nata così una delle più antiche ed illustri scuole di idraulica, capace di mantenere uno straordinario equilibrio delle acque, avendo disponibili pochi metri di dislivello sul mare per regolare il flusso discontinuo di arrivo delle acque ed ottimizzarne il loro utilizzo: per l’irrigazione, per la navigazione, per azionare ruote idrauliche ecc.
A partire dal XII’ secolo d.c. gli amministratori di Bologna, con lucida lungimiranza, seppero Leggi Tutto

La torre dei Marsigli a Castello d’Argile. Magda Barbieri

E’ una torre poco conosciuta e citata, forse perchè si trova nei pressi di una via (dedicata ad Attilio Ferrari) attualmente di passaggio quasi esclusivamente locale. Ma si trova in quel punto probabilmente perchè, nel tempo in cui fu costruita, si trovava su un percorso stradale più importante ( anche se tortuoso , dovuto alle più antiche presenze di “lame“, paleoalvei e “Gorghi“di Reno) di collegamento provinciale, usato da chi proveniva da Bologna, attraverso la via delle Lame, poi sulla via d’Erba di Argelato , costeggiando la chiesina di S . Giacomo, imboccava la via dei Ronchi, passava davanti al convento dei frati minori di S. Francesco, e magari si fermava nell’ “hospitale “ che si trovava nei pressi (oggi osteria “della Stella”).

Dalla torre , si proseguiva poi per il centro di Mascarino (alias Venezzano), con la sua chiesa, e un bivio che conduceva, svoltando a sinistra, verso Pieve di Cento, o , procedendo verso nord, Asia e il “poggio di Massumatico” (oggi Poggetto), importate sede vescovile con relativo palazzo; imboccando la stradina a destra si arrivava alla chiesina di S. Andrea, e, più oltre, a S. Benedetto e a S. Pietro in Casale.
E’ di probabile costruzione quattrocentesca, come altre torri simili presenti nel bolognese; ma, essendo stata solo superficialmente esaminata finora, non si può dire con certezza. E’ stata probabilmente adibita Leggi Tutto

La torre di Galliera. Franco Ardizzoni

Nella sua politica di espansione verso il contado il comune di Bologna, alla fine del XII secolo (sembra nel 1194), costruì il castello e la torre di Galliera in una posizione che, in quel momento, rappresentava il punto più avanzato dei suoi confini verso il territorio ferrarese degli Estensi, con i quali erano frequenti i contrasti. Da quel momento, e per tutto il XIII secolo, Galliera divenne un luogo molto importante per il comune di Bologna. La strada che partendo dal centro della città si dirigeva verso nord prese il nome di strada di Galliera e veniva regolarmente inghiaiata, anche la porta da cui usciva detta strada si chiamò porta Galliera. La località divenne sede di Podesteria e la sua giurisdizione si estendeva sopra 26 comunità.  Il castello e la torre di Galliera furono il primo punto di un sistema difensivo dei Bolognesi verso il territorio ferrarese. Infatti, successivamente fu costruita la torre del Cocenno, poche miglia a nord di Galliera, nel punto di confluenza del canale Cocenno (proveniente dal Centese) con il canale Riolo che, passando accanto alla torre di Galliera, collegava la città di Bologna con il Ferrarese unendosi al “canale Palustre”, che nasceva dal Po in località Porotto. Nel 1242 fu costruita, sempre ad opera del comune di Bologna, la torre dell’Uccellino (nella terra di Lusolino) a 5 miglia da Ferrara e 25 da Bologna, sempre sulla riva di un corso d’acqua, e nel 1305 fu edificata la torre Verga (non più esistente) in un luogo che oggi si trova al bivio delle strade che conducono a Mirabello, Poggio Renatico e Madonna Boschi, ma che in quel periodo era territorio del comune di Galliera.Nel 1250 l’organo legislativo del comune di Bologna deliberò che fosse posta una campana sulla torre dell’Uccellino, una  sulla torre del Cocenno ed un’altra sul lato settentrionale della torre di Galliera, “e ciò affinchè i comuni delle terre interessate possano e debbano, quando venga segnalato un pericolo, correre ad appostarvisi, e i nemici del comune di Bologna non si arrischino di entrare nel nostro territorio”.

Il sistema difensivo bolognese, ben descritto dallo storico Amedeo Benati (Strenna Storica 1989) fu completato con la costruzione, nel 1301, della torre dei Cavalli, nella zona di Molinella.

Tutti questi fortilizi erano custoditi da un capitano coadiuvato da un certo numero di uomini armati.

Nel 1336 il comune di Bologna distrusse il castello di Galliera perché vi si erano rifugiati dei fuorusciti di parte ghibellina. I soldati di Vinciguerra di Ansaldino Bugatti, dopo aver messo a ferro e fuoco il circondario, espugnarono il castello e lo spianarono fino alle fondamenta ed avendo catturato alcuni ribelli li “impiccarono per la gola agli arbori”. La torre, con i suoi robustissimi muri di oltre 2 metri di spessore, venne risparmiata ed è l’unico avanzo di quel glorioso periodo.

La torre è alta circa metri 21,75 ed ha una base di metri 9,40 x 7,70. Ha tutte le caratteristiche delle torri bolognesi ed assomiglia particolarmente alla Garisenda ed alla torre Galluzzi.

La sua porta aerea si trova a circa mt. 1,75 dal suolo, ma in origine doveva essere a circa mt. 6, come quella della Garisenda. Infatti le ripetute alluvioni delle acque torbide del Reno, trattenute dall’argine denominato Coronella, hanno innalzato nei secoli il livello del suolo circostante per cui 4-5 metri del corpo della torre sono interrati.

Nella parte alta della parete sud vi è una nicchia che un tempo conteneva lo stemma in macigno del comune di Galliera. Tale stemma Leggi Tutto

La torre del Cocenno. Franco Ardizzoni

La torre del Cocenno, un tempo in territorio bolognese, si trova oggi in comune di Poggio Renatico e la si può vedere percorrendo la strada che da San Carlo di Sant’Agostino porta appunto a Poggio Renatico: dopo circa un chilometro da S. Carlo, sulla destra, passato il ponte sullo scolo Riolo. La torre faceva parte di un sistema difensivo (Amedeo Benati – Strenna Storica Bolognese. 1989) realizzato dal comune di Bologna nei secoli XII e XIII per contrastare il potere dei marchesi d’Este, signori di Ferrara, con i quali era frequentemente in lotta. Il primo avamposto di questo sistema difensivo fu il castello di Galliera e relativa torre (scudo e difensione di tutto il contado bolognese verso il ferrarese, così afferma il Senato nel 1296), costruiti dal comune bolognese  alla fine del XII secolo. Successivamente, nel 1242, come riferisce lo storico Cherubino Ghirardacci nella sua “Historia di Bologna”, i Bolognesi costruirono la torre dell’Uccellino ( nella terra di Lusolino) a pochi chilometri da Ferrara spostando così verso nord il confine fra il territorio bolognese e quello ferrarese. Nel 1305 fu edificata la torre Verga (non più esistente), nei pressi dell’attuale Mirabello, che in quei tempi faceva parte del territorio di Galliera, allora vastissimo. Ma prima della torre dell’Uccellino fu costruita quella del Cocenno, anch’essa in territorio di Galliera. Tutte queste torri erano poste a guardia di strade e di canali navigabili, che collegavano il Bolognese con il Ferrarese.       La torre del Cocenno in una foto attuale. Purtroppo lo stato di degrado è molto avanzato, soprattutto per quanto riguarda le case che vi sono addossate, un tempo di proprietà dei Padri Olivetani di San Michele in Bosco di Bologna. (Foto Franco Ardizzoni) 

Il 3 novembre 962, e di nuovo nel 976, è nominato il ripatico, cioè una tassa sull’attracco,  della Galliera e del Cocenno (due canali navigabili) di spettanza della Corte di Antoniano (donata dall’imperatore Ottone il Grande al prete Erolfo, presbitero della Chiesa di Arezzo).

La torre fu costruita nel 1233 proprio nel punto di confluenza del Cocenno (canale proveniente dal territorio centese) con il Riolo. La data di costruzione, già riportata da Donato Toselli nel suo volume “Sant’Augustino de Paludibus”, è indicata su una lastra in cotto murata a destra della porta posta al primo piano della torre. Questa lapide, per il suo colore rossiccio, che la confonde con le pietre di cui è costruita la torre, è sfuggita ad alcuni famosi studiosi (fra i quali padre Edmondo Cavicchi ed Ugo Malagù). Non è sfuggita invece a Gianna Andrian (oltre che a Donato Toselli), di S. Martino di Ferrara, la quale l’ha fotografata ed ha consegnato una copia della foto a Luciana Succi di Ferrara che a sua volta, gentilmente, l’ha passata al sottoscritto.

La torre, coi terreni circostanti, appartenne per lungo tempo, (almeno dalla metà del Cinquecento fino alla fine del Settecento) ai Padri Olivetani di San Michele in Bosco di Bologna. I terreni (oltre 300 tornature) venivano ceduti in affitto a mezzadria, ed intenso era l’allevamento del bestiame, introdotto in queste terre da Leggi Tutto