Traduzioni e incomprensioni

Traduzioni e incomprensioni
Osservazioni interessanti e pertinenti su un tema arduo, di:
Roberto Luigi Pagani – Un italiano in Islanda .
Mi è stata rivolta una domanda in merito al campo delle traduzioni, nel quale vivo professionalmente da molti anni:
Perché continuano a cambiare le traduzioni di testi antichi che ormai dovremmo sapere una volta per tutte come tradurre definitivamente, come ad esempio i testi religiosi, le preghiere, ma anche le saghe?
La domanda era così: Se hai pazienza e vuoi rispondere ho una domanda.
Sappiamo che alcuni testi del nuovo testamento (ma potrebbe essere qualsiasi altra fonte o libro), sono originariamente scritti in greco antico. Nel corso della mia vita ho assistito a riedizioni e nuove traduzioni di tali testi con termini diversi rispetto a quelle sentire in precedenza. Ad esempio ultimamente hanno anche cambiato il testo del “Padre Nostro”. La domanda è : ma dopo tutti questi secoli non esiste una traduzione certa e definitiva concordata? Perché tutti questi cambiamenti. Lo scritto originale non è cambiato. Cosa provoca questi cambi? E perché ora certe versioni sarebbero più esatte e quelle precedenti lo sarebbero di meno? Grazie.

Ci sono tre questioni da considerare:

1) la lingua italiana cambia, e dunque devono cambiare le traduzioni. Leggere una traduzione in italiano del 1500 non è un’esperienza utile per un lettore che non sia un filologo interessato ad aspetti della lingua di quel tempo. L’italiano del 1500 è molto diverso dal nostro, al punto da non essere sempre immediatamente comprensibile. Per questo le traduzioni vanno rifatte.

2) con il tempo e l’avanzare delle conoscenze cambia anche la comprensione dei testi originali e dunque si aggiorna sempre il testo tradotto. Senza contare che non è mai possibile tradurre in modo perfetto da una lingua all’altra: si perde sempre qualcosa e traduzioni diverse colgono sfumature diverse.

3) nessuna traduzione può mai rispecchiare fedelmente tutti gli aspetti dei testi originali: le traduzioni letterali, per esempio, sono più fedeli dal punto di vista della sintassi e del vocabolario, ma sono brutte e sgraziate per il lettore, mentre quelle più libere possono incontrare i gusti moderni ed essere più efficaci, ma facendo perdere qualche aspetto più tecnico del testo originale. Oppure, ancora, quando ci sono doppi sensi, allitterazioni, allusioni che presuppongono conoscenze di una certa cultura etc., non è possibile che una traduzione riesca sempre a includere tutto. Qualcosa va perso, e un traduttore potrebbe scegliere di rispecchiare un aspetto, mentre un altro traduttore potrà trovarne più importante un altro. Faccio un esempio: in uno dei racconti popolari islandesi che ho tradotto, si incontra l’espressione “sjaldan hef ég flotinu neitað”, ovvero “raramente ho rifiutato del grasso fuso che galleggia nella pentola”, che significa “non posso resistere a questa tentazione”. La parola “flot”, che indica il grasso che galleggia nella pentola quando si cuoce della carne, non ha un corrispettivo italiano facilmente comprensibile, e il generico “grasso” rischia di creare un senso di straniamento perché, per gli italiani di oggi, il grasso è solitamente qualcosa di negativo che si scarta. Per questi motivi io ho scelto di rendere il termine con “lardo”, che è comunque la base dello strutto (tólg, in islandese), quando viene fuso. Questa non è necessariamente la scelta migliore, e un altro traduttore potrebbe fare scelte basate su esigenze diverse.

Non esisterà mai una traduzione definitiva, dunque, perché da un lato esistono scelte diverse ugualmente valide, ma anche perché tra qualche secolo guarderanno alle nostre traduzioni come noi guardiamo a quelle latine dei testi greci: traduzioni in una lingua straniera, vagamente familiare, ma non del tutto comprensibile.

Per rispondere agli esempi fatti nella domanda, per lungo tempo si è tradotto “pace in terra agli uomini di buona volontà”, perché la vecchia traduzione latina di Luca 2, 13-14 è “hominibus bonae voluntatis”, ma poi ci si è accorti che l’originale greco da cui la traduzione latina è stata fatta, è più ambiguo di così. Esso è come segue:
ἐπὶ γῆς εἰρήνη ἐν ἀνθρώποις ⸀εὐδοκίας.
Letteralmente, «sulla terra pace negli uomini della benevolenza».
Chiaramente, in italiano non funziona e non è così semplice capire cosa voglia dire. Con testi contemporanei si risolve facilmente: si scrive una mail all’autore e si chiede cosa volesse dire esattamente con altre parole. Così l’autore può spiegartelo in altro modo e il tu puoi capire chiaramente come rendere il passo nella lingua in cui stai traducendo.

Con i testi antichi ciò non è possibile, e si deve procedere diversamente: si guarda, ad esempio, a passi che usano termini simili per vedere se lì sono meno ambigui, e in effetti “della benevolenza”, altrove, si riferisce all’essere “in grazia presso Dio”, non al fatto che uno “possiede la qualità della benevolenza”. Il “godere della benevolenza di Dio” è stato dunque reso in italiano con l’espressione “che Egli ama”, la traduzione attuale.

Non è da escludere che un domani, questo o altri passaggi verranno messi in discussione se qualcuno noterà qualcosa che non torna.

Vale la pena aggiungere, visto che viene citato il Padre Nostro nella domanda, che (effettivamente) la traduzione “non ci indurre in tentazione” non funziona in italiano (ma nemmeno in tante altre lingue) perché dà l’impressione che Dio, così a caso, decida di tentare la gente a commettere peccati, che contraddice la teologia cristiana, secondo cui Dio non tenta gli uomini, ma è satana a farlo.

L’aggiunta di “anche” al “come anche noi li rimettiamo” è giustificato dal fatto che nell’originale è presente, ma non era stato aggiunto alla traduzione, forse perché ritenuto ridondante, mentre Papà Francesco lo ritiene importante. Credo esso sia giustificato, sul piano traduttologico, dal fatto che, così come era tradotto prima, il testo dava la sensazione che si stesse suggerendo a Dio di prendere esempio da una cosa che facciamo noi “fai il bravo, Dio, e rimetti i nostri debiti come facciamo già noi” > “prendi esempio da noi”. – mentre quell’ “anche” sottolinea il proposito di affiancare alla benevolenza che si chiede a Dio, il proposito di esercitare benevolenza verso il prossimo allo stesso tempo.

Io, personalmente, giusto per fare un esempio, avrei anche cambiato anche “rimetti/rimettiamo” con “perdona/perdoniamo” o “condona/condoniamo”, perché “rimettere i debiti” non è certo più nell’italiano di nessuno, e difatti ricordo che da bambino non capivo proprio cosa volesse dire, lo ripetevo a pappagallo con mia nonna alla sera senza cogliere il significato. Noi li condoniamo, i debiti, non li “rimettiamo”!

Ecco che diventa palese come sia impossibile tradurre un testo una volta per tutte.

Di Roberto Luigi Pagani il settembre 1, 2024