Ricerca storica e osservazioni di Stefano Fortini
– «Tremò la terra e a quell’orrore estremo / di triplicate scosse in un sol giorno / che il mondo in sé fesse ritorno / sì dentro a me temei ch’anco ne tremo...»
[Giovan Battista Pigna, Il ben divino, Sonetto IV, inedito a cura di Neuro Bonifazi, Bologna, Commissione per i testi di lingua, 1965]-
La sera del 16 novembre del 1570 una scossa sismica colpì la città di Ferrara. Non fu particolarmente violenta ma fu la prima di un lungo sciame sismico (costituito da circa duemila scosse) che durò fino alla fine del 1574 e che causò enormi danni alla città. La scossa più violenta fu quella del 17 novembre del 1570: circa il 40% degli edifici cittadini fu gravemente danneggiato, ci furono decine se non centinaia di vittime e la dinastia degli Este, che all’epoca governava la città, non si sarebbe più ripresa dal disastro.
Grazie alla collaborazione tra sismologi e storici specializzati, i terremoti del passato vengono studiati al fine di localizzarne gli epicentri, stimarne l’intensità e dedurre alcune caratteristiche della sorgente. Lo scopo principale è quello di stimare la pericolosità sismica delle varie regioni e aree, delineando i possibili scenari sismici futuri.
Per quanto riguarda il terremoto del 1570 si stima una magnitudo compresa tra 5,4 e 5,8, non molto diversa da quella del terremoto che colpì l’Emilia il 20 maggio del 2012, ovvero 6,1 (fonte: Catalogo Parametrico dei Terremoti Italiani). Proprio il terremoto del 2012 ha riacceso il dibattito sulla sismicità della Pianura Padana e sui rischi connessi, spesso a torto trascurati.
L’indagine sui terremoti storici, combinata con le conoscenze scientifiche attuali, ha permesso a due sismologi dell’Istituto Nazionale di Oceanografia e di Geofisica Sperimentale di Trieste, Livio Sirovich e Franco Pettenati, di individuare la causa del terremoto ferrarese nello scorrimento tettonico del margine sepolto dell’Appennino, situato al di sotto delle coperture alluvionali padane, e di collocare l’ipocentro ad una profondità di circa 10 km.
Quello del 1570 è uno dei terremoti più antichi a livello mondiale del quale è stato possibile risalire alla geometria della faglia e al meccanismo di scorrimento grazie all’elaborazione informatica dei dati ottenuti dalle testimonianze dell’epoca.
Ma cosa accadde esattamente a Ferrara tra il 16 e il 17 novembre del 1570?
Gli eventi sono stati descritti in numerosi libri, annali, lettere e diari. Nel “Trattato del Terremoto” dello storico e accademico Stefano Breventano (1502-1577) troviamo il seguente resoconto:
«Alli 16 di Novembre in un giovedì la notte seguente fra le nove e le diece hore cominciò un
grandissimo terremoto in Ferrara, il qual durò tutto l’anno seguente, e fattosi ancora sentire
alcune volte nell’anno dapoi del 1572° […]. Questo cominciò nel tempo che habbiamo detto, prima con un picciolo movimento e con intervallo di qualche poco di tempo, il qual fece rovinare molti camini. […] Quando ecco che alle tre hore si cominciò a sentire (senza che spirasse vento da veruna parte) un sibillo nell’aere con tanto strepito venendo da di sotto terra; e salendo in alto, che faceva levare le persone in aria come se volesse volare, se solamente erano alzati, ma ricadendo erano balzati in su come propriamente un pallone da vento. Stando tutti in agonia, e raccomandandosi a Dio, e pensando di certo che quello fusse l’ultimo lor fine, si metteva tutti in fuga; non sapendo pero dove andare, e molti credendo di fuggir la morte correvano in quella. […]
Ecco poi (o tremendo caso, e pieno di compassione) si sentì per tutta la città un strepito, un crollare, una rovina, un fraccassi di mura, aprendosi in assai luoghi la terra, e balzando in alto i fondamenti delle case, palagi e chiese, gittando ogni cosa a terra, onde ciascuno credeva che fusse il giorno dell’ultimo e final giudicio.»
Proprio lo studio dei documenti storici ha reso possibili alcune importanti scoperte relative al terremoto del 1570. In un manoscritto dell’epoca, “Memoria de’ gran Terremoti, e Ruine causate da essi nella cità di Ferrara l’anno 1570”, rinvenuto alcuni anni fa negli archivi della biblioteca comunale di Ferrara da Emanuela Guidoboni, si trova un resoconto che avvalora la tesi secondo la quale il terremoto è la causa dello spostamento del corso del Po.
L’individuazione della sorgente sismica da parte di Sirovich e Pettenati nella cosiddetta “faglia esterna di Ferrara” ha permesso di spiegare lo spostamento verso Nord di una ramo del corso del Po, come conseguenza del movimento della faglia e del sollevamento della superficie topografica. Il terremoto allontanò quindi il corso del fiume dalla città, fino ad allora attraversata dal ramo oggi noto come Po morto di Primaro, privandola del suo ruolo portuale e lasciando all’asciutto non solo l’alveo del fiume ma anche il commercio fluviale di cui il Po era l’asse portante.
Oltre agli ingenti danni materiali il terremoto indusse nei ferraresi un generale senso di disorientamento e di sfiducia nell’opera umana. La popolazione si trovò infatti costretta a cercare rifugio in ricoveri di fortuna, nei quali si trovarono a coabitare persone di ogni ceto sociale. Persino i sovrani si videro costretti a trasferire la corte in tende di fortuna: l’immagine di questa corte “cingana” (ovvero “zingara”, come si scrisse nelle corrispondenze diplomatiche) colpì profondamente i contemporanei.
Tutto questo avveniva peraltro in un momento molto delicato per gli equilibri politici della città: se il duca Alfonso II d’Este fosse rimasto senza eredi (e le voci sulla sua sterilità circolavano in modo sempre più insistente), alla sua morte, il Ducato di Ferrara sarebbe stato devoluto allo Stato Pontificio.
Il terremoto poteva quindi fornire un’occasione a papa Pio V per intaccare il consenso di cui godeva la dinastia regnante presso i sudditi e mettere le mani sul ducato. Per questa ragione Alfonso II fece di tutto per minimizzare agli occhi del mondo i danni causati dal terremoto e per costruire un’immagine di sé quale ottimo cattolico, dalla partecipazione ad ogni processione religiosa, alle elemosine ai poveri e alla fondazione di nuovi conventi.
Il terremoto fu infatti interpretato da molti come un segno del disfavore divino, una sorta di punizione abbattutasi sulla città e sui suoi sovrani. La pianura, inoltre, era ritenuta un luogo esente da questo pericolo da tutte le teorie accettate all’epoca e molte persone si convinsero che quel disastro inatteso avesse del prodigioso. Non è un caso che il cielo ferrarese nel disegno del commissario ducale H. J. Helden sia solcato da un drago sputafuoco.
Mentre Alfonso sosteneva la causa naturale del terremoto, il papa riteneva il sisma e la migrazione del fiume verso Nord fossero la giusta punizione di Dio contro gli Estensi, colpevoli di aver dato rifugio agli Ebrei in fuga dalla Spagna.
Ma non tutti i mali vengono per nuocere! Fu proprio in questo contesto che Alfonso invitò a Ferrara numerosi studiosi (filosofi naturali, medici, esperti vari) affinché indagassero le cause del terremoto, fondando di fatto il primo osservatorio sismologico al mondo.
Nel corso del 1571 vennero prodotti almeno sei trattati sul terremoto di Ferrara, alcuni dei quali rimasero per secoli dei punti di riferimento per la sismologia. Uno in particolare emerge per la sua ampiezza e originalità: si tratta del “Trattato de’ diversi terremoti” di Pirro Ligorio, architetto e pittore originario di Napoli, successore di Michelangelo come responsabile per la realizzazione della basilica di San Pietro in Vaticano e già dal 1568 alle dipendenze di Alfonso II quale archeologo e antiquario di corte.
Nonostante Ligorio fosse un fervente cattolico, nel suo libro sosteneva che i terremoti fossero fenomeni naturali e sottolineava il fatto che erano sempre accaduti nel corso della storia. Lo studioso riteneva inoltre che la causa principale degli ingenti danni al patrimonio edilizio della città fosse da ricercare nella pessima qualità degli edifici ferraresi, realizzati con materiali scadenti e con tecniche grossolane.
Nell’ultima parte del testo, intitolata “Rimedi contra terremoti per la sicurezza degli edifici”, viene infine presentato il primo progetto di casa antisismica della storia occidentale. Analizzando le conseguenze del terremoto, Ligorio elaborò un metodo per costruire abitazioni resistenti ai terremoti. Il progetto è quello di una casa da costruirsi con mattoni e pietra, sviluppata su un piano perfettamente regolare e dotata pilastri di rinforzo agli angoli delle stanze.
Avendo osservato acutamente i danni subiti dagli edifici ferraresi, Ligorio proponeva anche di rinforzare tutti quei punti che aveva visto cedere: oltre agli angoli, le aperture delle porte e delle finestre e i solai. Alla base del progetto dell’architetto napoletano c’era l’idea, estremamente innovativa, che l’uomo può difendersi dai terremoti e che, anzi, trovare rimedi e realizzare costruzioni in grado di resistere alle scosse “è un dovere dell’intelletto umano”.
All’epoca prevaleva però l’idea che il sisma fosse una fatalità della provvidenza e che non potesse essere in alcun modo contrastato. La casa antisismica di Ligorio infatti non venne costruita e, come aveva profetizzato lo stesso architetto, “forsi un giorno potrà giovare a un altro secolo”.
Gli innovativi studi ligoriani anticiparono così di quasi due secoli la “gaiola pombalina” (ovvero “gabbia del distretto di Baixa pombalina”), la casa antisismica progettata da Manuel da Maia dopo il terremoto di Lisbona del 1755.
Oggi sappiamo che se tutti gli edifici avessero un livello di sicurezza adeguato, il terremoto non sarebbe più l’evento catastrofico al quale siamo abituati a pensare.
Come già Pirro Ligorio aveva intuito 450 anni fa, anche lo studio dei terremoti storici può aiutarci notevolmente nella valutazione del rischio sismico dei territori e dunque ad adottare degli accorgimenti in grado di contrastare gli effetti delle scosse, riducendo i danni agli edifici e le perdite umane.
Stefano Fortini
Immagini:
1 – H. J. Helden, Ferrara distrutta dal terremoto del 1570, immagine conservata presso la Biblioteca Universitaria di Zurigo (fonte: https://rivista.fondazioneestense.it/)
2 – Giovanni Battista Tinti, San Francesco Solano indica un terremoto accanto ai santi Giovanni Evangelista
3 – Pirro Ligorio, Progetto di casa antisismica
Bibliografia:
– Emanuela Guidoboni, Marco Folin, La sequenza sismica del 1570-1574: un evento importante per la storia della città, Ferrara – Voci di una città, 2010;
– Franco Pettenati, Livio Sirovich, Source inversion of the 1570 Ferrara earthquake and definitive diversion of the Po River (Italy), Journal of Geophysical Research, 2015;
– Raffaele Araneo, Dal terremoto del 1570 alla rappresentazione dell’Aminta, rielaborazione scritta della conferenza del 25 settembre 2013;
– Giampiero Pietrucci, Paolo Balocchi, Sismicità storica della Pianura Padana ed il terremoto del – 1570.
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