L’alluvione in Emilia-Romagna e le colpe di nutrie, istrici e capri espiatori.
Articolo di Luca Angelini. Osservazioni da Altreconomia, Ispra.
Ad ogni alluvione in Pianura Padana e dintorni, il dito torna a puntarsi (anche) contro le nutrie, i roditori importati dal Sudamerica per produrre pellicce di «castorino» e poi lasciate libere quando, negli anni 70 e 80 del secolo scorso, quel mercato aveva smesso di tirare. Con le loro tane indeboliscono gli argini, e la pressione dell’acqua, per fenomeni meteo esasperati dai cambiamenti climatici, fa il resto. Con risultati devastanti.
Ora, che il proliferare delle nutrie faccia danni è indubbio, tanto che, a fine 2021, è stato varato un Piano nazionale di contenimento. E forse è anche vero, come ha denunciato qualche sindaco dei paesi colpiti dalla recente alluvione in Emilia-Romagna — dove in queste ore è, di nuovo, allerta rossa per il maltempo — adesso ci si sono messi pure gli istrici, che scavano tane ancora più grosse. Ma il professor Paolo Pileri, ordinario di Pianificazione territoriale e ambientale al Politecnico di Milano (tra i suoi libri, L’intelligenza del suolo), che da anni si batte contro la cementificazione, dietro nutrie ed istrici vede fare capolino un altro animale dagli effetti particolarmente nocivi all’ambiente: il capro espiatorio.
A confermarlo è, in primo luogo, il rapporto 2022 dell’Ispra (l’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale) su «Consumo di suolo, dinamiche territoriali e servizi ecosistemici». «Tra il 2020 e il 2021 — riassume Pileri in un intervento su Altreconomia — l’Emilia-Romagna è stata la terza regione italiana per consumo di suolo, più 658 ettari cementificati in un solo anno, pari al 10,4% di tutto il consumo di suolo nazionale. In pochi anni — e con questi governanti (alla guida c’è dal dicembre 2014 il pd Stefano Bonaccini, ndr) — la Regione è arrivata ad avere una superficie impermeabile dell’8,9% contro una media nazionale del 7,1%. E tutti sappiamo perfettamente che sull’asfalto l’acqua non si infiltra e scorre veloce accumulandosi in quantità ed energia, ovvero provocando danni e vittime. (…) Tra un suolo libero e uno cementificato la quantità d’acqua che scorre violentemente in superficie aumenta di oltre cinque volte. Tutti noi sappiamo che le piogge saranno sempre peggiori, eppure continuiamo a prendercela con le “bombe d’acqua” e non con quelle di cemento che nel frattempo e ogni giorno noi sapiens sganciamo sul nostro territorio, rendendolo più vulnerabile».
Andando più nel dettaglio, la provincia di Ravenna, fra le più colpite dall’alluvione del 2 e 3 maggio, è stata «la seconda provincia regionale per consumo di suolo nel 2020-2021 (più 114 ettari, pari al 17,3% del consumo regionale) con un consumo procapite altissimo (2,95 metri quadrati per abitante all’anno); è quarta per suolo impermeabilizzato procapite (488,6 m²/ab). La città di Ravenna è stato il capoluogo più consumatore di suolo dell’intera Regione nello scorso anno (più 69 ettari)» e il secondo in Italia dopo Roma (95 ettari).
Si sta correndo ai ripari? Si prova ad invertire la tendenza? I numeri che riporta Pileri dicono il contrario: in Emilia-Romagna «si consuma suolo perfino nelle aree protette (più 2,1 ettari nel 2020-2021), nelle aree a pericolosità di frana (più 11,8 ettari nel 2020-2021), nelle aree a pericolosità idraulica dove l’Emilia-Romagna vanta un vero e proprio record essendo la prima Regione d’Italia per cementificazione in aree alluvionali: più 78,6 ettari nelle aree ad elevata pericolosità idraulica; più 501,9 in quelle a media pericolosità che è poi più della metà del consumo di suolo nazionale con quel grado di pericolosità idraulica: pazzesco».
Oltre alla colpa, secondo Pileri in alcuni casi si arriva a sfiorare il dolo, per mascherare, anziché raddrizzare la situazione: «L’Emilia-Romagna si è costruita una legge urbanistica talmente ingannevole da autoprodursi assoluzioni come quella che si può vedere sul sito della città metropolitana di Bologna dove, come per incanto, dal 2018 fino a oggi i consumi di suolo sono magicamente diventati zero. Ma non perché hanno smesso di consumare (tutt’altro), solo perché hanno manomesso le definizioni urbanistiche al punto tale da riuscire a non conteggiare più le cementificazioni e risultare così tutti virtuosi e contenti per legge, non per virtù».
La conclusione del professor Pileri non è difficile da immaginare: «Come si fa a dire che è colpa delle nutrie? O a piangere quando qualche anno prima si approvava una legge che faceva acqua ovunque e quando il tema dello stop al consumo di suolo non fa parte dei propri discorsi politici tutti i giorni? Come si fa a piangere quando l’Emilia-Romagna non ha fatto nulla negli anni passati per portare al tavolo di tutte le Regioni una proposta di legge nazionale contro il consumo di suolo? Come si fa a piangere quando non si è capaci di parlare di biodiversità, di cambiamenti climatici e di altri modelli economici e sociali?».