Vita quotidiana alla Venenta in alcune esercitazioni scolastiche. Gian Paolo Borghi
La scuola elementare della Venenta, nelle campagne di Argelato, venne soppressa all’inizio degli anni ’60 del secolo scorso e i suoi scolari furono inseriti nelle classi del capoluogo. Per molti anni, e fino alla sua chiusura, ebbe come pilastro l’insegnante Elide Passanti, detta la “màstra biònda” la maestra bionda, che viveva in un appartamento situato nello stesso edificio scolastico. La maestra, nota per la sua severità, era apprezzata per le sue capacità, che le consentivano di svolgere al meglio la sua professione anche in situazioni difficili come le pluriclassi. La piccola località della Venenta comprendeva soprattutto case rurali sparse, abitate da famiglie di mezzadri o di piccoli proprietari.
Presso il Centro Sociale Villa Beatrice di Argelato, grazie alla passione per le cose locali del socio storico Enzo Ziosi, sono conservate alcune decine di quaderni e di fogli con esercitazioni scolastiche di alunni frequentanti questa scuola in anni diversi. La documentazione raccolta si dimostra di una soddisfacente utilità per la conoscenza della vita scolastica, di relazione e della quotidianità in aree di campagna e, più in generale, nei piccoli insediamenti rurali. Grazie a questi elaborati, spesso realizzati in forme essenziali, si possono cogliere, tra l’altro, significativi momenti familiari e comunitari, osservati con gli occhi dell’infanzia.
La “scrittura bambina”, a mio avviso, offre pure l’opportunità di trarre considerazioni di varia natura contribuendo a delineare “dall’interno” spaccati di una cultura contadina tradizionale che, alla vigilia del boom economico. sta facendo i conti con la sua progressiva dissoluzione. Gli scritti redatti dagli scolari sotto la guida della loro insegnante mettono inoltre in risalto un non comune spirito di osservazione, maturato nell’alternarsi di lavori campestri e di fatiche senza tempo, non di rado in condivisione tra grandi e piccoli.
A questo proposito, propongo alcuni esempi di elaborati redatti nel 1959 da alcuni scolari di seconda elementare.
Gian Carlo M., il 22 gennaio, così scrive nel compito che l’insegnante ha assegnato alla classe, vertente sui nidi degli uccelli:
“Il nido dell’uccellino è la sua casa e se la costruisce lui. L’uccellino va in campagna in cerca di fili d’erba e di fango, poi va nella stalla, o sotto il tetto di una casa, sopra un albero e costruisce il nido. Là dorme, cova le uova e nascono i piccini. Nella mia stalla ci sono circa sei nidi attaccati alle colonne. Io non posso romperli perché gli uccellini piangono e devono ricostruirli con grande fatica.”
Il successivo 14 febbraio, descrive invece gli arredi delle stanze, al piano superiore della sua casa, tradizionalmente destinate al riposo notturno:
“Il letto della mamma e del babbo, il mio lettino, il quadro della Madonna, il comò, il lavabo, la cassetta con i miei giocattoli, lo scatolone con i miei quaderni finiti, il quadro del ricordo della mia Santa Cresima e un vaso con i fiori sull’armadio.”
Il suo compagno, Carlo G., è altrettanto attento:-”Vedo il quadro della Madonna, il letto, l’armadio, il comò, la cassa della biancheria, lo specchio, la lampada, il lavabo, il catino, la brocca, le sedie, e la tenda”-
Carlo descrive anche alcune tradizioni pasquali praticate dalla sua famiglia (20 marzo):
“Oggi a casa mia hanno messo in ordine tutte le camere da letto perché è venuto il Signor Arciprete a dare la benedizione della S. Pasqua. Il Sabato Santo la nonna manda la zia a benedire le uova alla Chiesa perché è segno di tradizione Pasquale”.
Lo stesso scolaro ha bene presente il ciclo dell’uva e del vino, che lo coinvolge; in pieno tempo di vendemmia, lo descrive in due compiti. Preciso che la “castellata” consisteva in una speciale botte oblunga per il trasporto del mosto al domicilio dell’acquirente, un tempo collocata su carri agricoli trainati da buoi:
“La vendemmia in casa mia ho visto: il babbo, la mamma e i miei zii tutte le mattine prendere i cesti e i panieri per andare in campagna a vendemmiare.
Quando hanno i cesti pieni li vanno a prendere a casa con la biroccia e la mucca.
Una buona parte viene pigiata e va via con la castellata in camion e la portano a chi l’ha comperata.
L’uva noi non la vendiamo tutta ma ne mettiamo in cantina anche per noi per bere il vino tutto l’anno” (7 ottobre) –
In questa seconda esercitazione, abbozza sommariamente anche la tradizionale “piantata”, con la vite maritata all’olmo, e fa un’elencazione delle varietà di uve coltivate nel suo podere:
“Dove abito si fa la coltivazione della vite. Ci sono estesi vigneti. Le viti sono disposte attaccate al filo e appoggiate agli olmi. Ho partecipato molte volte alla vendemmia nel mio campo. Nel mese di settembre e nel mese di ottobre. Sì ho visto le pigiatrici in funzione. La pigiatura dove non si usano le macchine si fa con i piedi. Sì c’è l’albana, la malvasia, il lambrusco, la barbera. Uva da tavola vuol dire che è buona da mangiare e non buona da vino. L’uva che si conserva va legata e attaccata ai chiodi in stanze buie e si usa d’inverno” (15 ottobre). –
A proposito di varietà di viti, Paolo B., così le elenca riferendosi alle sue piantate. Il “grislino” è l’italianizzazione di “grisléiń”, ovvero di “riesling”:
“Nella mia vigna c’è l’uva fragola, il clinto, il grislino, la montuni (15 ottobre).
Carlo precisa anche la composizione della sua famiglia, con le “braccia” destinate al lavoro agricolo e alle altre mansioni di casa:
” Nella mia famiglia siamo in nove persone. C’è la nonna Maria, la zia Cristina, lo zio Lorenzo, la zia Duilia, il mio babbo Pietro, la mamma Adriana, la Mirella, il mio fratellino Franco ed io. In casa mia ci sono cinque che vanno a lavorare nel campo. La nonna lavora in casa, io e la Mirella andiamo a scuola e Franco aiuta la nonna (28 ottobre).”
Paolo, l’11 dicembre, scrive riferendosi alla sera in casa:
“Alla sera, quando siamo tutti radunati in casa, ci laviamo le mani e poi mangiamo. La mia nonna serve prima il mio babbo dopo i miei zii e per ultimo serve me. Mentre aspettiamo il giornale radio per sentire tutte le disgrazie che succedono giochiamo a carte. Dopo il giornale radio gli altri vanno a letto ma mia nonna e mia mamma stanno alzate a fare le calze.”
Proseguo con gli esempi trascrivendo parte di un compito di Bruno G., di terza elementare, probabilmente scritto qualche anno prima del 1959 (non porta la data), nel quale si evidenzia che anche i bambini avevano un loro ruolo lavorativo. Il tema è sulla bontà e l’altruismo:
– “Alla mattina si alza il babbo, dopo mi alzo anch’io e vado a tirare l’acqua e quando ho finito mi vestisco e vengo a scuola. Nel pomeriggio vado nella stalla a vuotarla e dopo vado a fare il compito e il nonno dice. Bruno chiama Romano per dare da bere alle bestie. Alla mattina quando mi alzo vado aprire il pollaio e dopo mia mamma dà il frumento alle galline che si mettono subito a beccare volentieri. Tutte le cose che faccio, le faccio con buona volontà perché un bimbo buono deve diventare sempre migliore.”-
Chiudo con l’esercitazione di una scolara, Nerina C., di quarta elementare, che svolge lo stesso tema assegnato a Bruno. Nerina fa riferimento anche alla lavorazione della canapa, che in quegli anni era in crisi irreversibile. Si trattava di un lavoro non particolarmente adatto ai bambini:
– “La bontà o altruismo è fare del bene e aiutare in casa alla nonna e alle persone di famiglia.
Specialmente dare retta alla mamma quando è malata a portarle da mangiare e da bere di sopra alla sua stanza.
La bontà vuol dire ubbidire alla signora maestra in scuola e ubbidire alla nonna quando mi manda a fare la spesa.
La nonna delle volte mi manda accendere il fuoco e io vado volentieri.
Delle volte quando ho dei soldi invece di spenderli per una caramella li porto in scuola per la Croce Rossa oppure per il soccorso invernale. Alla mattina mi tocca di andare a dare da bere alle mucche e poi vengo a scuola.
Nel mese di agosto tutte le mattine andavo a Malacappa a prendere il pane e dopo andavo al macero con mio fratello a levare [lavare?] la canapa. Anche certe volte al dopo pranzo mi toccava di andare a stendere al sole la canapa da asciugare. Anche adesso vado nel campo a fare i fascetti e raccogliere le brocche e a portarli da un’altra parte. Non bisogna essere buoni per un giorno ma per tutta la vita.”-
Forse la bambina esagerava quando scriveva di certe mansioni a cui la destinavano, ma prendo atto delle sue affermazioni, che non vanno, in ogni caso, a modificare il mio pensiero sull’utilità della cosiddetta “scrittura bambina” in vari filoni di studi (etnografia, storia sociale e delle mentalità ecc.).
Gian Paolo Borghi