Filastrocche del tempo che fu

Repertori infantili di un tempo, in italiano. Gian Paolo Borghi
In un mio precedente articolo ho proposto diversi proverbi della tradizione popolare raccolti da scolari impegnati in una ricerca scolastica, all’inizio degli anni ’80, in una non identificata scuola elementare della campagna bolognese. Sempre da quei fogli sparsi trascrivo, in questa occasione, alcuni testi in massima parte in rima, in italiano, imparati a memoria dai nonni a scuola e da questi recitati ai nipoti, che li trascrissero. Non è neppure da escludere che le testimonianze siano state trasmesse anche da quei genitori che furono tra gli ultimi ad avere in dotazione un sussidiario: i materiali che presento, infatti, sono in buona parte di quella provenienza.
Il primo testo, in verità, richiama alla memoria anche documenti popolari meno recenti, probabilmente oggetto di traduzione italiana per favorirne una divulgazione a più ampio respiro; è una filastrocca, che veniva pure utilizzata come ninna nanna:
Din don, campanon,
quattro vecchie sul balcon,
una che fila, una che taglia,
una che fa i cappelli di paglia,
una che fa coltelli d’argento
per tagliar la testa al vento.

Il trascorrere dei giorni della settimana è invece scandito da questi versi in prosa, che si traducono in una sorta di nonsense:
Buon giorno, lunedì,
come stai martedì?
Benissimo, mercoledì,
va’ a dire al mio amico giovedì
di venire venerdì
nella sala di sabato
per desinare domenica.

I giorni della settimana sono anche motivo di descrizione rimata delle fasi della nascita e della prima fase di crescita di un pulcino:
Lunedì, chiusin chiusino,
martedì picchiò l’ovino, giunse fuori mercoledì,
giovedì prese un chicchino,
venerdì un bel pulcino,
sabato mattina
aveva fuori la sua crestina,
e la domenica: “Chicchirichì!”.

La filastrocca seguente è ricordata in forma frammentaria, ma non è da escludere che si tratti di più testi incatenati con l’omissione di qualche verso sfuggito dalla memoria del testimone:
Centocinquanta
la gallina canta,
canta sola sola,
non vuole andare a scuola.
Gallina bianca e nera
ti dò la buona sera.
Il lupo non c’è più,
è fuggito in montagna,
ha trovato una castagna.
La castagna è tutta mia,
buona notte compagnia!

Chiudo con una filastrocca di un bimbo golosetto che preferisce l’uovo di Pasqua all’uovo che gli offre una gallina:
Caldo caldo nel suo covo,
la gallina ha fatto l’uovo.
Dice al bimbo: “Coccodè,
questo ovino è qui per te!”.
No, risponde il golosetto:
voglio un uovo di confetto.
Senza nulla di speciale,
tu non sei un uovo pasquale!”.

Sono “piccoli” documenti, di derivazione scritta e in un italiano un po’ fuori moda, utili però a contribuire alla ricostruzione di forme culturali e di modalità espressive di un tempo, peraltro legate a un mondo rurale, allora ancora di una certa vitalità.
Sarebbe interessante che il gruppo di lavoro che ha contribuito da pochi mesi alla ricostruzione di un’aula scolastica d’epoca presso la restaurata Scuola Primaria di Castello d’Argile tenesse conto di questi materiali “minori” per eventuali progetti da realizzare con i numerosi materiali raccolti.

Anche questa è storia.

Gian Paolo Borghi