La pubblicazione di un libro dedicato ad un corso d’acqua minore, finora poco conosciuto, è da salutare come un felice evento che arricchisce la conoscenza di un territorio come quello della pianura bolognese-ferrarese che ha una storia tutta impastata nella terra e nelle sue acque in un complicato intreccio di fiumi, torrenti e canali dal percorso mutevole, ora benefico, ora disastroso. Il libro è dedicato a
“Il Sàvena abbandonato”, scritto da Romolo Masi, e pubblicato a cura dell’Associazione culturale “Anima Altedi”, col supporto di Emilbanca.
A onor del vero questo corso d’acqua tanto sconosciuto non era, se il sommo poeta Dante lo citò nella sua Divina Commedia, nel canto XVIII dell’Inferno (vv. 58-63), per indicare i bolognesi come coloro che stanno “fra Sàvena e Reno”.
Sàvena, dunque, con accento rigorosamente sulla prima “a”, toponimo di derivazione etrusca dal semplice significato di “vena d’acqua”, prima torrente e poi canale, che dalla sorgente appenninica arriva alla Chiusa di S. Ruffillo presso Bologna, per confluire e finire nell’Idice (affluente del Reno), dopo un percorso che ha subito modifiche, esondazioni e rotte, nel contesto idrogeologico-ambientale complicato del bacino del fiume Reno.
Ci sono quindi due “rami” o percorsi principali del Sàvena, con varie derivazioni, di cui una prima assunse la conformazione di canale artificiale fin dal 1200 per entrare in Bologna e portarvi le sue acque per i suoi mulini e altre attività. Furono poi gli spagliamenti di acque e le disastrose rotte degli argini del Sàvena registrate in vari anni dei secoli precedenti a determinare nel 1560 la necessità di una nuova inalveazione del torrente Savena partendo da Lovoleto, in direzione ovest e verso Minerbio, per disposizione del cardinale Legato Mons. Cesi; cosicchè troviamo in una carta del Magini del 1599 l’indicazione di un alveo chiamato “Savena nuova” e una sua diramazione chiamata “Savena vecchia” attraverso Baricella, entrambi sfocianti, come il Reno di allora, nelle paludi dette “valli di Marrara” a sud del Po di Primaro.
Altre disastrose rotte del Sàvena del 1600 e 1700, soprattutto nella zona con al centro Altedo e Malalbergo, determinarono altri drizzagni e deviazioni del percorso del fiumicello, con nuove arginature e infine la cassa di espansione di Gandazzolo; e troviamo quindi ribattezzato il suo vecchio alveo con la denominazione di “Sàvena abbandonato”.
Di tutta questa intricata storia nei secoli, fino ai giorni nostri, intrecci col Navile (così chiamato perché vi passavano le navi) e l’Idice , con rotte, lavori eseguiti, atti istituzionali di Cardinali, Assunterie, Consorzi e Bonifiche, il libro fa una puntuale ricostruzione e descrizione, con citazioni di documenti, ricca cartografia e fotografie.
L’autore, Romolo Masi, nato ad Altedo, è architetto appassionato cultore della storia locale e ha già scritto altri 3 libri su altri aspetti e periodi della storia di Altedo e dintorni, sempre promossi dall’Associazione culturale locale “Anima Altedi” di cui è attivo socio e collaboratore.