Il 25 agosto del 1256, il Podestà e il Capitano del Popolo firmarono un decreto che sanciva l’abolizione della servitù della gleba a Bologna.
L’evento fu celebrato da una cerimonia pubblica alla quale parteciparono migliaia di persone e le trattative furono lunghe e complesse. L’atto diventó operativo il 3 giugno 1257. Il Comune pagò i proprietari per riscattare quasi 6.000 servi. Il testo di riferimento è il Liber Paradisus, un prezioso codice redatto da Rolandino de’ Passeggeri e altri giuristi che, 600 anni prima delle moderne carte dei diritti umani, interpretava la libertà come condizione di diritto dell’uomo. I servi della gleba infatti erano tali per nascita, legati indissolubilmente alla piccola porzione di terra che non potevano abbandonare senza il permesso del padrone, il quale era di fatto il proprietario delle loro esistenze. Potevano essere venduti, insieme alla terra alla quale erano legati. Il Liber Paradisus, sancì la fine di questa condizione con dichiarazioni di principi inequivocabili come “Nella nostra città possano vivere solo uomini liberi” perché ci si impegnava a: “Spezzare le catene della servitù”.
* Tra i nomi dei 6.000 servi-schiavi liberati, nel Liber Paradisus c’erano anche due famiglie di Altedo
– Altedesi nel Liber Paradisus:
Nel palazzo del Podestà la campana dell’Arengo suonò per chiamare a raccolta i cittadini bolognesi. Era il 25 agosto 1256 e in Piazza Maggiore, il Podestà Bonaccorso di Soresina e il capitano del Popolo, annunciarono alla folla accorsa la liberazione di circa 6.000 servi. Per questo riscatto il
Comune pagò ai 400 Signori loro proprietari la somma di 54.014 lire bolognesi. Un anno dopo, nel 1257, quattro notai su ordine del Comune scrissero il “Liber Paradisus” ( Libro Paradiso) con tutti i nomi dei servi liberati. Nel libro vi fu la loro suddivisione in quattro vaste zone, di città e contado, corrispondenti ad altrettante Porte di Bologna. Ed è fra quelli elencati sotto la Porta Piera che troviamo degli altedesi. Il primo è Bencevenne de Altedo con due figlie, Hengelesca e Imelde la minore. Non è menzionata la moglie probabilmente essendo vedovo. Seguono Martinelli de Poverati con i figli Faxana, Bonacosa e Imelda. Dal cognome Martinelli, che ritroviamo alcuni anni dopo in documenti altedesi si può ipotizzare che anche loro erano del paese.
Non vi erano palazzi padronali in Altedo in quegli anni quindi si tratta di due famiglie di contadini che abitavano e lavoravano su terreni coltivati di proprietà di Signori (Dominus) bolognesi.
La presenza di popolazione contadina è confermata da uno Statuto del Comune di Bologna del 1245 – 67 che invitava i vecchi residenti a convivere in armonia con le famiglie lombarde arrivate in paese nel 1231 (vedi : I Patti di Altedo).
*Testo relativo ad Altedo di Giuseppe Pavani.
Fonte: A.S.B., “LIBER PARADISUS”, PAGG. 94-95, PARTICOLARI.
**La foto in alto e la prima parte del testo da: https://www.facebook.com/succedesoloabologna/
Lapide posta nel cortile di Palazzo D’Accursio nel 2007 a ricordo dell’evento
Arca sepolcrale di Rolandino De’ Passeggeri in piazza S. Domenico a Bologna