Il modello industriale bolognese: una metamorfosi dalla tradizione agricola all’industria meccanica – 1796 | 1953
E’ disponibile sul sito “Storia e memoria di Bologna” una significativa sintesi della evoluzione delle attività artigianali e industriali presenti nella città di Bologna dal secolo 1700 ad oggi, con corredo di foto e schede informative delle aziende più importanti che qui hanno operato e dato lavoro ai bolognesi.
“1. Una base agricola e artigianale
All’indomani del Congresso di Vienna, con il quale si chiudeva la stagione napoleonica e si sanciva il ritorno all’ordine restaurato, la situazione economica di Bologna era in una fase di passaggio. L’industria bolognese aveva conosciuto un rapido e rigoglioso sviluppo economico tra i secoli XII e XV, con la città centro degli scambi, della produzione industriale, della vita culturale e la campagna principale produttrice di materie prime e di generi di sussistenza. Le due colture principali, base di un’arte e di una relativa produzione industriale, erano la seta e la canapa. L’industria serica, fiorente fra XV e XVII secolo, già alla fine del XVIII secolo cominciò la sua decadenza, derivata principalmente dal periodo di instabilità causato dalla rivoluzione francese e dalle successive guerre napoleoniche, che determinarono un calo delle esportazioni.
A ciò si aggiunse la crescente concorrenza straniera: in vari paesi, primi fra tutti la Francia e la Svizzera, si era sviluppata una produzione di veli meno costosa di quella bolognese. «In Bologna – afferma Luigi Dal Pane – si sono affermate fino dal Medio Evo, specie nel ramo serico, le prime forme dell’industria capitalistica con lo sviluppo dell’industria a domicilio e con la riunione di un certo numero di operai nei così detti filatogli. Prima ancora si erano avuti nella campagna bolognese quei grandi rivolgimenti, che avevano spezzato i vincoli feudali». Nel passaggio alla forma tipica della grande fabbrica capitalistica – aggiunge Dal Pane – importante fu la presenza di un mercato «capace di determinare, con la [sua] accresciuta domanda, una spinta decisiva alle invenzioni nel campo tecnico e alle trasformazioni delle forme di produzione». Nella prima metà dell’Ottocento il quadro economico di Bologna presentava un forte frazionamento dell’attività produttiva e un mercato limitato all’area locale. Nel periodo napoleonico e durante la Restaurazione un terzo dei bolognesi era occupato nel settore dei servizi (domestici, facchini, cocchieri, stallieri, governanti, ecc.) e prestava la propria opera al servizio di un ristretto numero di proprietari terrieri (nobili ed ecclesiastici). La restante parte della popolazione si divideva tra operai, artigiani, imprenditori, professionisti, impiegati e commercianti. Numerosi erano inoltre i bisognosi e i mendicanti. L’Almanacco del Dipartimento del Reno del 1808 riporta l’elenco delle principali fabbriche e case di commercio del Dipartimento, consentendo di ricavare un quadro generale della struttura economica di Bologna. Le principali attività erano: “Argentieri, Banchieri, Cappelli, Carta, Stamperie, Fonderia di caratteri, Librerie venali, Cera, Cioccolata, Corami e pelletterie, Giargioli, tele, cordami, Olio e sapone, Ottonerie, Pannine, Piombi, Rosoli e acquavite, Sete, bavelle e veli, Tele cerate, Terraglie, Vetri”. Fatta eccezione per le manifatture tessili, le altre industrie mantenevano un carattere limitatamente locale. Nella campagna prevaleva l’allevamento dei bachi da seta, controllato dai proprietari terrieri. Nella città era invece concentrato il ciclo di lavoro che, se per la maggior parte delle sue fasi aveva luogo in edifici appositamente attrezzati, dove affluivano operai e maestranze, per la tessitura assumeva al contrario una distribuzione di carattere domiciliare, sia urbana sia rurale. Entro il primo decennio del XIX secolo, nello Stato pontificio, vennero abolite le corporazioni, il cui ricordo rimase unicamente in alcuni toponimi cittadini.
Per gli anni successivi il quadro dell’attività professionale si ottiene dall’analisi dei registri della Camera di Commercio, da cui risulta una predominanza delle attività rivolte al fabbisogno giornaliero: fornai, lardaioli, merciai e beccari, mentre nel ramo tessile vi era una prevalenza di “gargiolari”, impiegati nella lavorazione della canapa. Notevoli capitali erano poi impiegati nella lavorazione e commercio di cuoi e pellami, in quella del ferro e dei saponi e anche nel commercio delle stoffe. Tuttavia l’elemento di maggiore spicco sembrava essere la staticità: mancavano quasi completamente denunce per l’apertura di nuove industrie, segnale questo della perdurante crisi del settore. Per tutta la stagione che dagli anni francesi portò alla nascita del Regno d’Italia l’economia bolognese rimase dunque caratterizzata dalla preminenza dell’artigianato e della piccola e media industria prevalentemente legata alla produzione di beni di prima necessità, ed ai principali prodotti delle campagne (seta, canapa e riso) ma che di fatto si mostrava statica a causa anche di una mancanza di capitali investiti. Nonostante la decadenza di quelle che erano state le principali industrie bolognesi fino alla fine del XVIII secolo, e il carattere prevalentemente agricolo che la città e il suo territorio mantennero almeno per tutta la prima metà del XIX secolo, fu in questo secolo che vennero gettate le basi di uno sviluppo economico – e in particolare di quello industriale – che rimase pressoché immutato almeno fino allo scoppio del primo conflitto mondiale.
Il lungo Ottocento fu caratterizzato da elementi di conservazione, cui si andarono progressivamente affiancando spunti di modernità, determinati dalle riforme napoleoniche (vendita dei beni ecclesiastici, codici napoleonici) che contribuirono alla formazione di una nuova classe sociale borghese, che pur mantenendo almeno inizialmente i tratti caratteristi dell’aristocrazia (in particolare una ricchezza legata alla proprietà terriera), cominciò a introdurre elementi di progresso in ambito economico e di formazione delle élites. Fu in particolare la vendita dei beni ecclesiastici a contribuire al rinnovamento della classe possidente: la nobiltà cominciò a perdere potere sociale ed economico fino a confondersi con la ‘borghesia’, che più di ogni altro ceto guadagnò dalla vendita dei beni dei religiosi, e anche se queste vendite non portarono a una “rivoluzione fondiaria”, vi fu comunque una parziale ridistribuzione della proprietà….”
- Il seguito del testo di Elena Musiani, tratto da “La Ruota e l’Incudine la memoria dell’Industria Meccanica bolognese in Certosa”, Minerva, 2016, è leggibile su : https://www.storiaememoriadibologna.it/il-modello-industriale-bolognese-una-metamorfosi-d-1312-evento
Foto
1- Sede e pubblicità della ditta di Ulisse Colombini che fu molto attiva nel 1800 nella produzione di salumi
2- Un modello di moto fabbricata a Bologna: produzione di eccellenza della industria meccanica bolognese del 1900.
Vedi : http://museibologna.it/patrimonioindustriale/galleria_immagini/54225